Categorie: Opinioni

Il Nord ignora l’Italia centrale e la inchioda al meridionalismo

di Sergio Bianchini – Sono Stato a sentire Roberto Castelli  alle Stelline il 27 novembre. Presentava il suo nuovo partito la cui nascita vedo con simpatia, anzi mi chiedo come mai solo ora qualche importante leghista ammetta che ormai la lega non rappresenta più minimamente il nord.

Riprendere gli antichi temi, autonomia, residuo fiscale, sviluppo di un nord morente, è quasi ovvio. Ho trovato carente però la riflessione sulle cause della fine ingloriosa del leghismo.

Castelli ha parlato dei giorni felici nominando “un’onda storica” che misteriosamente si è assopita e che si spera ritorni.

Sulle contraddizioni già presenti nella vecchia lega nemmeno una parola. Ad esempio sul secessionismo che è in rotta di collisione col federalismo perché in realtà non si misura davvero con gli spazi costituzionali che prevedono ad esempio le macroregioni. Si nomina si il titolo V della costituzione voluto da Prodi e che la lega ignorò senza tuttavia anche su questa circostanza dire alcunchè.

Sulla scuola, altro esempio, si dice sì della sua importanza fondamentale ma nessuna idea concreta su come il Nord la vorrebbe dato che la Costituzione la affida alle Regioni.

Ma la cosa che ancora una volta mi tocca sottolineare è che si continua a vedere l’Italia come divisa in due parti, il Nord e il Sud, rinunciando alla visione dell’importantissimo Centro Italia ed alle mosse politiche che questa consapevolezza genera.

Parlare solo di Nord e Sud azzerando il Centro fa proprio il gioco del meridionalismo e rinforza l’asse costruito negli anni ‘70 col compromesso storico che, alleando il Centro al Sud, diede la base di massa allo stato assistenziale che ancora oggi domina.

Proprio il 30 novembre, il Messaggero, quotidiano romano, presenta un editoriale in cui si sostiene la necessità di rivitalizzare il Centro Italia a partire da una Roma ormai in rovina che viene presentata come un vertice del quadrilatero Lucca-Pesaro-Pescara-Roma.

Sui confini dell’Italia centrale si potrebbero avere molte idee diverse ma un dato storico è inconfutabile. E’ grosso modo la geografia dello Stato Pontificio fino alla presa di Roma da parte dei Savoia ma in seguito è stata la patria del socialismo e del comunismo dove, dal ’45 in poi fino agli anni ’90,  il PCI otteneva il 50% dei consensi quando votava più dell’80% della popolazione.

Dal ’45 al ’72 quando la segreteria del piemontese Longo il PCI  passò a Berlinguer, il Partito Comunista aveva un nucleo organizzativo e filosofico operaista ed industriale che lo collocava fortemente nella dinamica nordista anche se qui non raggiungeva percentuali superiori al 25%.

E forse proprio questo fatto determinò la sconfitta dei “veterocomunisti nordici” come appunto Longo e Cossutta e la totale vittoria di Napolitano e Amendola che, staccato il PCI dal Nord, lo allearono al Sud per la creazione di uno stato sociale insostenibile e irresponsabile al costo di un’enorme tassazione del Nord “freddo ed egoista”.

Le prime due grandi città con amministrazione comunista (esclusa Bologna) furono proprio Roma e Napoli, con Argan e Valenzi eletti sindaci nel ’76.

Il Sud aprì rapidissimamente le porte a chi portava lo stato sociale finanziato con  una inarrestabile e irresponsabile crescita della pressione fiscale sul Nord che ha creato la tassazione più alta d’Europa e il soffocamento della piccola media industria.

Ma la festa finì presto ed a partire dagli anni ‘90 iniziarono le manovre di contenimento della spesa pubblica e del debito che ancora continuano inesorabili senza successo scontrandosi con un dirittismo e un sindacalismo chiassosi, morenti. Ma ancora prevalenti nella psicologia di massa.

Il Centro Italia è grande, esiste, ed ha smesso di amare l’alleanza col Sud contro il Nord. Il primo rappresentante di questa svolta è stato Renzi ed ha prodotto lo smantellamento della vecchia sinistra. La  vitalità azzoppata di Bonaccini e l’orgoglio del “Regno di Toscana” premono ma il Nord li ignora e si auto paralizza.

Invece il Nord dovrebbe dedicarsi non a conquistare territori in Italia Centrale costruendovi sezioni nordiste (e men che meno al sud) ma fraternizzare con i rappresentanti autonomisti della stessa macroregione che esistono e sono dominanti e se coccolati con sincerità e trasparenza preferirebbero certamente allearsi al Nord  piuttosto che ad un meridionalismo ormai fallito e senza speranze.

Redazione

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