di Stefania Piazzo – Un’icona, un marchio, una identità. Ma è così, anche la Caffarel, acquisita a fine anni ’90 dalla Lindt, sta per salutarci. Ce lo racconta in un percorso a ritroso nella storia oggi il Corriere della sera, che punta i riflettori su una vicenda che ha questo epilogo.
“Ci sono comportamenti legali, ma opportunistici, della multinazionale svizzera nei confronti del fisco del Paese che la ospita. E ci sono 90 operai e impiegati a Luserna San Giovanni, un quarto dei dipendenti di Caffarel, sul punto di perdere il posto in un’area depressa della provincia torinese“, scrive Federico Fubini. Tutto chiaro.
I riflettori sono puntati in particolare sull’amministratore delegato di Caffarel, l’austriaco Benedict Riccabona, già Spiega Fubini: “… n due anni a Caffarel Riccabona del resto non avrebbe neppure cercato di imparare l’italiano e prova a comunicare in inglese persino con la forza di vendita che distribuisce cioccolatini in migliaia di bar della provincia. Dell’Italia però Riccabona conosce una particolarità: il dimezzamento della propria base imponibile consentito da una legge del 2015 a manager e professionisti europei che arrivano dall’estero (interpellato su questo, Riccabona non ha risposto)”.
Morale, la crisi è arrivata, pare, perché l’azienda sarebbe “soggetta ogni anno a «commissioni di management» e «commissioni per uso delle licenze» da versare per vari milioni all’anno alla controllante di Kilchberg, nel cantone di Zurigo. Le commissioni di management sono una tariffa oraria applicata dai dirigenti di Lindt per il loro tempo trascorso a colloquio con quelli di Caffarel. Le commissioni sulle licenze derivano invece dal fatto che Lindt ha acquisito la proprietà intellettuale dei dolciumi Caffarel e ora si fa pagare da quest’ultima per consentirle di produrli”.
Tira e para, a parte le pratiche tra multinazionali, i giri per le tasse e i profitti tassabili, il conto della concorrenza ora pesa e a pagare chi sono?
Approfondire la lettura è utile, ma sconsolante.