Chi ha chiuso per ordine del governo è sull’orlo della povertà. Dopo il Covid ci pensa lo Stato a seppellirti

17 Aprile 2020
Lettura 2 min

di Benedetta Baiocchi – Il pan ci manca. Sul ponte sventola una bandiera biancha che il governo e le istituzioni ignorano. Il pannicello delle 600 euro e la cassa integrazione anticipata non sono una garanzia di sicurezza.

Il quadro economico e le misure in ordine sparso sono il peggior nemico, anzi, il fuoco amico che spara sulla popolazione. Ingiustizia sociale è fatta.

L’ultimo studio che riportiamo nella sua completezza, della Fondazione Studi Consulenti del lavoro, ricostruisce con minuzia e dettaglio agghiaccianti il tessuto economico delle famiglie oggi. Una fotografia di povertà. Il 47,7% dei lavoratori dipendenti dei settori produttivi “che hanno chiuso” per le disposizioni del Governo o per carenza di domanda di beni e servizi guadagna meno di 1.250€ mensili, il 24,2% si trova sotto la soglia dei 1.000€.

La sospensione, anche se temporanea, delle attività produttive per
fronteggiare l’emergenza sanitaria da Covid-19 ha, fra le altre cose, causato per 3,7 milioni di lavoratori il venir meno dell’unica fonte di reddito familiare. Ad essere più colpite le coppie con figli (1.377 mila, 37%) e genitori “soli” (439 mila, 12%) con il rischio di non riuscire a
fronteggiare le spese quotidiane. Un dato preoccupante se si considera che ben il 47,7% dei lavoratori dipendenti dei settori “che hanno chiuso” guadagnava meno di 1.250 euro mensili e il 24,2% si trova addirittura sotto la soglia dei mille euro. È quanto emerge dall’analisi della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro “COVID-19: aumentano le famiglie in ristrettezza
economica”. Ad essere coinvolta, oltre ai ceti più deboli a rischio (o già in) povertà, è anche la vasta platea di lavoratori a reddito medio-basso, per la quale l’assenza di reddito anche per un solo mese può determinare una situazione di grave disagio.

Tra i profili sociali in bilico ci sono, poi, i giovani che rischiano di scontare un notevole disagio: stipendi più bassi (oltre il 60% della popolazione 25-29 anni abitualmente non supera i 1.250 euro), dovuti alla minore anzianità lavorativa, vuol dire per gli under 30 anche una inferiore disponibilità di risparmio da poter utilizzare in questa fase emergenziale. Meno critica, in generale, potrebbe sembrare la situazione di altre popolazioni, come ad esempio quella delle donne, più largamente occupate nella Pubblica Amministrazione.

Tuttavia, se osserviamo la sub-popolazione degli occupati costretti a casa
dall’emergenza sanitaria, scopriamo che 2,5 milioni di donne (in particolare le addette nelle attività di vendita e le occupate part time) sono per 2/3 (65,8%) al di sotto di uno stipendio di 1.250 euro al mese contro il 36% dei maschi. Da un punto di vista territoriale è al Sud che si ha la maggiore concentrazione di disagio con una incidenza, tra i lavoratori dipendenti
temporaneamente senza lavoro, dei monoreddito, pari al 49,6% (contro il 35,2% dei residenti delCentro e il 34,3% del Nord Italia).

La situazione appare più critica tra gli autonomi: non solo la quota di quanti non lavorano per effetto delle chiusure da COVID-19 è più alta (55% contro il 38,2% dei dipendenti), ma tra questi ultimi è più elevata anche la percentuale di chi vive in famiglie monoreddito (sono il 42% contro il 38% dei dipendenti), e dove pertanto nei mesi in questione viene a mancare l’unica fonte di reddito familiare. “I provvedimenti adottati a tutela
della salute pubblica hanno esposto a maggiore rischio proprio i lavoratori meno qualificati e a più basso reddito, che avrebbero invece avuto bisogno di più tutele. Si pensi alla chiusura dei comparti manifatturieri, al lavoro artigiano e operaio, all’edilizia o al commercio”, ha dichiarato
la Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, Marina Calderone.

“Al contrario chi ha potuto contare sulla continuità lavorativa tramite smart working sono stati soprattutto i lavoratori della conoscenza, impiegati e quadri di aziende pubbliche e private, professioni a più alta qualificazione, che vantano titoli di studio e redditi più elevati. In tale ottica, l’emergenza COVID-19 sta avendo a livello occupazionale un vero e proprio effetto divaricante, amplificando il disagio sociale in quei segmenti socio-territoriali che già si trovavano in condizioni economiche molto precarie e mettendo in grande difficoltà anche quella vasta platea di famiglie abituata a gestire con grande oculatezza il proprio bilancio mensile e che non può
contare su una riserva di risparmio sufficiente a garantire la copertura da eventuali rischi o emergenze come l’attuale”, ha poi concluso.

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