di Stefania Piazzo – Se vai a leggere il corposo lavoro della Caritas, il dossier “L’anello debole” sulla povertà in Italia, ti accorgi che il Paese sta scivolando in silenzio e nell’indifferenza, spesso, oltre la soglia dell’indigenza. E’ una linea di confine che non è superata solo per il dato economico statistico, ma perché la povertà è sociale, culturale, scolastica, professionale. E’ la somma di tante povertà.
Mentre scorri i dati leggi che “Nel 2021 la povertà assoluta conferma i suoi massimi storici toccati
nel 2020, anno di inizio della pandemia da Covid-19. Le famiglie in povertà assoluta
risultano 1 milione 960mila, pari a 5.571.000 persone (il 9,4% della popolazione residente).
L’incidenza si conferma più alta nel Mezzogiorno (10% dal 9,4% del 2020) mentre scende in
misura significativa al Nord, in particolare nel Nord-Ovest (6,7% da 7,9%). In riferimento
all’età, i livelli di povertà continuano ad essere inversamente proporzionali all’età: la
percentuale di poveri assoluti si attesta infatti al 14,2% fra i minori (quasi 1,4 milioni
bambini e i ragazzi poveri), all’11,4% fra i giovani di 18-34 anni, all’11,1% per la classe 35-64
anni e al 5,3% per gli over 65 (valore sotto il la media nazionale)”.
Certo sarà aumentata da una parte e diminuita dall’altra, ma il dato che spaventa è quando vai a vedere sulle schede di sintesi la ripartizione degli assistiti. Il Nord fa registrare il 50,4% degli assistiti. Il Sud il 20,9%, il Centro il 28,9%. Sta scritto. Vuol dire che l’apparente benessere diffuso non è quello che si crede che sia. Serve, ed è una provocazione, un ministero per la questione settentrionale?
Nella sintesi del rapporto, si legge anche che “il nord-Est e il Sud risultano le macroaree con la più alta incidenza di poveri di prima generazione”.
Come la mettiamo? Se questo non è un dato politico, se questa non è una questione settentrionale aperta, cosa lo è, a parte il silenzio della politica e dei partiti e dei sindacati che la povertà del Nord non la sanno mai vedere? Figuriamoci interpretare.