Categorie: Elezioni Regionali

I politici come Frodo. Diamo il potere dell’anello a chi non lo cerca

di AGILULFO – Ci sono situazioni eccessive che si possono esprimere solo con delle metafore: la casta esiste e la casta è Roma. Non la Roma dei monumenti e dei papi, non la Roma delle fontane e del Lungo Tevere, ma la Roma del potere, quella con cui la Lega, a suo tempo, ai suoi primi tempi,  se l’è presa dando voce al profondo scontento popolare, quel potere che per definizione è il contrario del comune cittadino, ma anche il contrario di quel legame tra cittadino e terra, che si chiama poi responsabilità: questa è la mia terra, di essa io rispondo e ad essa rispondo quando essa mi chiama. No: il potere risponde solo a se stesso e solo di se stesso si compiace. In questo senso il potere è trasversale, perché attraversa l’animo di tutti noi, quando ci è dato di poter decidere della sorte degli altri e quando il denaro e le cariche istituzionali lo rendono possibile.

Diceva un antico saggio, che il potere bisognerebbe darlo a chi non lo vuole, mai a chi lo vuole. Ad Atene, patria della democrazia, solo una parte dei rappresentanti del popolo era eletta: l’altra era tirata a sorte. Come a dire – antica sapienza – che per esercitare il potere non occorre poi tantissima competenza. Dare il potere a chi non lo vuole e non darlo a chi insiste nel volerlo.  Una cosa è essere al potere, un’altra è governare. Governare si dice dello stato, ma anche di una nave. Governare significa percorrere una rotta, andare verso una meta, che, in politica, non può che essere il bene comune. Già, ma oggi il “bene comune”, specchiato nella nostra casta politica pare meno realistico di Biancaneve …

Di lotta e di governo. Dove?

In tempi recenti, si parlava di movimento “di lotta e di governo”: i due versanti della verità, se sei al governo devi essere anche di lotta, altrimenti non governi, al massimo “regni”, diventando tu stesso un ingranaggio del potere, ormai completamente autoreferenziale. Un po’ come l’anello di Frodo nel Signore degli Anelli, che possiede chi lo possiede, o crede di possederlo. Questo è un paese in decadenza non per la spazzatura nelle piazze di Napoli e Palermo o per la malasanità o per le code immense in posta o, anzi, per la posta non consegnata, ma ritrovata nella brughiera intorno alle città (anche del Nord), ma perché è un paese dove il potere si fa casta, nella duplice variante del governo e dell’opposizione. Ed è per questo che la spazzatura è nelle piazze, che la sanità è quello che è e che le poste e i trasporti fanno pietà. Per questo è urgente – e siamo solo agli inizi – ricostruire il senso di responsabilità: il cittadino che risponde della città, della polis, perché è sua, e la città che si identifica in una catena di legami e, dunque, di identità. Ne erano consapevoli già gli antichi Romani (sì, proprio loro!), quando a consoli e senatori avidi di denaro e di sangue contrapponevano il semplice e grande Cincinnato, che lasciava l’aratro e i suoi campi per combattere  i nemici della città per farvi poi ritorno da uomo semplice e libero. Forse Cincinnato è un mito, ma almeno la Roma antica ha saputo creare un mito in cui riflettersi e su cui giudicarsi. Quella di oggi si riflette nelle baldracche e nei viados chiamati a coccolare gli uomini del potere e a farli sentire onnipotenti. I popoli e le nazioni hanno bisogno di simboli, di sacrifici, di buoni esempi. Sarà moralismo, sarà qualunquismo, o forse semplicemente buon senso, ma in Italia sembra che tutto si sia fermato all’Armiamoci e partite.

La lezione umile elvetica

Chi scrive era all’università di San Gallo, Svizzera, quando il ministro Leuenberger, ex presidente della Confederazione, vi fece visita, arrivandoci in treno (seconda classe) e salendo in università a piedi, dalla stazione, come un comune cittadino. Parlò con studenti e professori nella grande sala centrale della biblioteca.  Leuenberger probabilmente è pagato la metà di un nostro deputato,  anche se il reddito medio pro capite in Svizzera è quasi il doppio che in Italia. Lì il federalismo fiscale è realtà da sempre e i politici sanno bene che i cittadini comuni sono i loro datori di lavoro. Lì la polis, il legame tra il cittadino e la città, esiste ancora, anzi è il principio della moralità pubblica, il foedus, il patto sociale e civile su cui si basa la convivenza civile e per cui lo stato è davvero la res pubblica, la cosa di tutti. L’Expo si avvicina e si affidano costosi studi sui trasporti pubblici a raffinatissime agenzie di ricerca. Se anche i presidenti delle nostre regioni si muovessero in treno, avrebbero forse la possibilità di conoscere il paese reale e la gente per cui dicono di governare, verificando lo schifo in cui sono immerse le stazioni e le linee ferroviarie del Nord. E forse, in un angolino ancora vivo della loro coscienza, qualche esponente della casta si vergognerebbe delle proprie immense prebende, nel momento in cui si chiedono sacrifici alle persone comuni che fanno fatica a tirare la fine del mese (quelle a cui dell’Expo non importa nulla, ma che vorrebbero avere treni e stazioni puliti e funzionanti).  Roma, il potere, è anche questo: separazione, distanza dalla gente comune, persino disprezzo per quella realtà così normale da cui pure si è usciti, magari continuando a usare la buona fede e la speranza di tanta gente semplice.

Roma, il potere, è una tentazione terribile. Il lavoro è lungo, il percorso per ricostruire il foedus, il patto originale, è difficile e irto di difficoltà, ma non ha alternative. I barbari sono già alle porte, anzi fin dentro il cuore della città.

Redazione

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