di Raffaele Piccoli – Il 23 gennaio scorso il Senato ha votato, con ampia maggioranza la prima lettura del disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata. Per approfondire il merito di questa riforma è opportuno chiarire meglio di cosa si tratta.
Non siamo di fronte ad una legge costituzionale ma ordinaria, e ad una norma che una volta in vigore non modifica la struttura e l’operatività della regione.
La legge approvata dal Senato, è una regola di percorso, o come viene definita in politichese una legge quadro, cioè stabilisce le norme fondamentali cui una regione deve adeguarsi per ottenere le 23 materie, o parte di esse, ai sensi dell’art. 116 della Costituzione. E’ importante precisare il testo del terzo comma del suddetto articolo: “possibilità di attribuire condizioni particolari di autonomia alle regioni a statuto ordinario”.
Il sostantivo ” possibilità” ne chiarisce la razio. In sostanza il potere è e rimane allo stato centrale il quale a richiesta della regione può attribuire in tutto o in parte le materie di cui la costituzione ne preveda la delega. Questo ” contratto” ha durata decennale, e può essere revocato. Quindi nulla di nuovo, l’Italia mantiene un’ordinamento centrale ad articolazione regionale.
La Regione continua ad essere come ora un organo decentrato dello Stato, senza una vera finanza autonoma, ma che potrà mantenere parte delle risorse raccolte sul territorio, a patto che dimostri di saperle spendere meglio dello Stato.. Ma oltre a mantenere un rango istituzionale di basso livello, non potrà avere un suo parlamento, un suo governo, cioè una dignità simile a quella delle istituzioni romane. Insomma nulla a che vedere con il federalismo.
I detrattori, i patrioti, i sostenitori della retorica centralista, i nazionalisti incalliti, i governatori del sud, e i sindacati gridano contro la riforma “spaccaitalia” o contro la “secessione dei ricchi”. Non sfugge quanto sia strumentale e faziosa questa contestazione, a fronte della pochezza della riforma.
Non c’è nessuna secessione, la Regione chiede se vuole, lo stato tramite il governo (o forse il parlamento) concede se vuole. L’onere della prova spetta alla periferia non al centro.
La legge Calderoli è fatta male e non mi convince.
In primo luogo un paese non può essere spezzettato in venti autonomie, con norme contrastanti, e territori troppo piccoli. Ma non mi convince anche perché prima di entrare in vigore dovranno essere approvati e finanziati i famosi LEP (livelli essenziali delle prestazioni).
Questo significa che lo stato deve trovare i fondi per finanziare Calabria, Campania, Puglia, Basilicata, Molise, Sicilia ecc. affinché i cittadini di queste regioni abbiano le medesime condizioni di servizi e prestazioni di quelli Lombardi, Veneti o Emiliani. E’ evidente che si tratta di una “mission impossible” . questi fondi che ammontano a miliardi di euro non ci sono e non ci saranno mai, o meglio se si vorranno trovare si dovrà spremere oltremodo il nord, con buona pace del residuo fiscale da trattenere sul territorio.
Da ultimo, non può sfuggire la natura di scambio di tutto questo.
Da una parte una lega alla disperata ricerca del consenso perduto, dall’altra una Meloni, che è obbligata a mettere dei punti fissi ideologici a salvaguardia di quanto promesso in campagna elettorale. Uno scambio e un compromesso tra un presidenzialismo annacquato che oggi si traduce in premierato forte, e un federalismo inesistente che oggi chiamano autonomia a geometria variabile o differenziata.
L’Italia questa Italia, non sa offrire altro..