Categorie: Opinioni

La riforma Calderoli rimaneggiata di continuo. Meno imposte da trattenere sul territorio, e  minori trasferimenti per le regioni che attuano l’autonomia

di Raffaele Piccoli – Nonostante sia solo l’inizio dell’anno, sono giorni decisamente caldi  sul fronte delle riforme. Ad osservare quanto accade in  Senato e nel Paese sul progetto di autonomia differenziata c’è da restare a dir poco sconcertati.

Premetto che il progetto Calderoli, come più volte ribadito, non è altro che un semplice e piccolo decentramento. Si limita ad applicare la Costituzione cosi come modificata, nel titolo V per volere della sinistra nel 2001, dopo ben 22 anni.

Lo sconcerto nasce pertanto,  da una contraddizione. La sinistra parlamentare,  i sindaci e i governatori del sud, l’Anpi, la CGIL definiscono il progetto Calderoli  la “secessione dei ricchi” . Il M5S  propone il referendum abrogativo,  dell’art. 116 terzo comma della Costituzione allo scopo di impedire alle Regioni a statuto ordinario di dotarsi di poteri diversi e ulteriori rispetto alle altre. In sostanza non è tanto la devoluzione che si teme, quanto il fatto che si interrompa il fiume di risorse che scorre ininterrotto dalla Padania al Sud, indispensabile per mantenere l’assistenzialismo che in buona parte alimenta il flusso elettorale per questi partiti.

Lo sconcerto però non si limita al comportamento dell’opposizione, è la stessa maggioranza a procedere  in maniera quantomeno ondivaga. E’ di queste ore l’emendamento di FDI a firma  De Priamo, che prevede fondi per garantire i Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) anche per le regioni che non richiedono alcuna devoluzione di competenze.   Quindi  meno imposte da trattenere sul territorio, e  minori trasferimenti per le regioni che attuano l’autonomia. In sostanza lo Stato  attribuisce  competenze, ma non  assicura le risorse per attuarle.  Il solito guazzabuglio all’italiana.

Tutto  dimostra ancora una volta quanto anomalo sia il modo di fare politica. Mesi di audizioni, in commissione parlamentare, incontri, scontri, conferenze, dibattiti per giungere, infine ad un sostanziale nulla di fatto. 

Appare chiaro pertanto, l’impossibilità di fare  riforme serie.

Immaginiamo cosa  accadrebbe,  se una maggioranza parlamentare (ipoteticamente guidata da un partito autonomista) proponesse una modifica  costituzionale finalizzata alla trasformazione  dell’Italia in repubblica federale.  Umberto Bossi diceva spesso ” Questo stato non è modificabile dall’interno”, dopo 30 anni ne abbiamo le prove.

La classe politica continua imperterrita con l’eterno gioco destra contro  sinistra e viceversa, fascismo vs. comunismo, saluti romani o pugno chiuso,   distrazioni di massa per mantenere uno status quo, immodificabile, ma gradito a molti.. Dalla fine della prima repubblica sono trascorsi  3 decenni, si sono alternati 30 governi con dodici presidenti del Consiglio. Il debito pubblico  è raddoppiato, gli stipendi sono calati in termini percentuali, e le distanze sociali accresciute,  l’economia langue,  (con l’unica eccezione dello sviluppo da bonus e superbonus), l’evasione fiscale continua il suo percorso, e la criminalità organizzata è più che mai attiva su intere aree del mezzogiorno,   mentre Il paese è sempre meno attrattivo per investimenti esteri, con buona pace di Invitalia.

Gli italiani oggi imbevuti nuovamente del termine “Nazione”, sbandierato ossessivamente dal partito di maggioranza, sembrano non accorgersi del piano inclinato e scivoloso su cui il paese è calato,  questo piano esiste, e rappresenta un pericolo molto serio.

Redazione

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