Categorie: Opinioni

Con Draghi la fine di 50 anni di vacanze e avventure

di Sergio Bianchini – Nel discorso di Draghi per la presentazione del nuovo governo una nota ha attirato particolarmente la mia attenzione: la sottolineatura dell’importanza degli istituti tecnici superiori. Draghi ha detto: Particolare attenzione va riservata agli istituti tecnici superiori, in Francia ed in Germania sono un pilastro importante del sistema educativo…”.

Questa frase viene detta in un momento in cui anche nel nord Italia l’ammirazione per gli studi liceali ha vinto totalmente sulla tradizionale importanza data alle scuole tecniche. Proprio quest’anno la richiesta di iscriversi al liceo dopo la terza media nelle scuole milanesi ha raggiunto il 64,5%. Ed intanto le aziende si lamentano perché hanno bisogno di periti e di ragionieri e non ne trovano abbastanza.

La scelta delle famiglie e dei giovani del percorso di studi infinito del liceo e dell’università seguita da master mondiali infiniti è la grande moda esaltata dal coro dei media fuori dal mondo reale.

Il risultato di questa moda è l’abbandono della grande forza creatrice espressa nelle migliaia di aziende costruite negli anni del miracolo economico ed il perfetto allineamento con lo stato depressivo ormai prevalente nella nostra società.

Uno stato depressivo garantito da una ricchezza ereditaria ancora diffusa, come ha ben dimostrato Ricolfi, compatibile però solo con la scelta del figlio unico.

Il campanello di Draghi inizia a suonare, per fortuna, una musica opposta e valorizza la necessità di dare una base diversa alla ripresa economica con lo sviluppo di studi tecnici.

Dopo 50 anni di avventurismo esistenziale, di abbandono della vecchia marcia che per 40 anni aveva dominato il dopoguerra riempiendo le famiglie di eroi del lavoro la generazione dei “ribelli” va in pensione.

Apparentemente era stato un ribellismo nobile, pieno di ideali sociali e di giustizia, di dispute rivoluzionarie che si erano avvitate allo scontro politico mondiale. Ma l’onda altissima su cui gli ideali politici ed anche religiosi viaggiarono e vinsero aveva nel profondo un’energia diversa, non politica, non ideale.

C’erano, sotto i protagonisti del ribellismo, energie di cui non erano spesso nemmeno consapevoli e che finita l’illusione politica e religiosa sono emerse in maniera evidente.

Una era la rivoluzione sessuale e l’altra era lo spirito di avventura. Una canzone famosissima esprime bene uno spirito che pervase la gioventù ribelle, tutta, sia laica che cattolica, sia violenta che pacifica. E’ la canzone LO STRANIERO https://www.youtube.com/watch?v=_NdvGkGvKCY di Georges Mustaki.

Era la santificazione della fuga dalla schiavitù delle innumerevoli vite di lavoro, di dedizione alla casa e al territorio, di vite grigie e monotone piene anche di morti improvvise e spesso precoci.

Certo la canzone contiene anche un dubbio di fondo. Il dubbio che la nostra nazione sembra aver cominciato a comprendere. L’abbandono della dedizione al lavoro, alla responsabilità familiare, agli innumerevoli compiti che la tradizione caricava sulla persona ha portato il paese sulla soglia della catastrofe finanziaria in un sistema relazionale ormai disastrato.

E si deve ricominciare da capo. Il lavoro torna ad essere al centro dei pensieri. Avere un lavoro sembra ormai un privilegio, avere una casa tranquilla e ben gestita con un’armonia tra genitori e figli è quasi un sogno, un sogno nemmeno esplicitato tanto sembra impossibile.

Forse questi 50 anni di avventurismo erano necessari per costruire la nuova consapevolezza. Speriamo che servano davvero ad aprirci occhi, mente e cuore.

Redazione

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