di Stefania Piazzo – Carlo Bellerio, per i suoi tempi, fu uno che visse a lungo. Nacque a Milano il 28 gennaio del 1800 e con precisione morì a Locarno lo stesso giorno del 1886.
Di mestiere fece lo studente universitario a Pavia ma poi lasciò gli studi per unirsi alla causa più che della Mitteleuropa, a quella piemontese e in seguito mazziniana. Fu uno, insomma, avvolto nel tricolore. Ma le premesse non mancarono, il babbo, il barone Andrea Bellerio, fu magistrato del Regno Italico.
Scappò in Germania per non farsi arrestare dagli Asburgo, passando anche per Francia e Inghilterra, per arrivare infine in Svizzera, dove insegnò lettere. Un personaggio carico di coraggio, come si vede. Deve solo la fortuna di essere diventato famose grazie a chi, quel tricolore, fino a poco tempo fa, lo bruciava, lo dileggiava. Bellerio non fu uno da barricate, alla Carlo Cattaneo, non si chiese cosa fosse meglio per la Lombardia, se trattare, se fidarsi delle promesse dei piemontesi, se ragionare in termini di stati federali del Nord Europa. No, ebbe un cabotaggio da aristocratico lombardo. Abboccò alle promesse unitarie ma poi se la diede a gambe. Vuoi mettere passare dei mesi in galera per le proprie idee?
Un nome, dunque, e una storia. Scritta un po’ nel destino. Una storia che va in esilio, per ragioni italiche. Non ci sono più i soldi per combattere… dicono. Oggi la categoria dei “belleriani” passa alla storia per essere stata quella, da una parte, dei vertici massimi del Carroccio e, dall’altra, specialmente dopo, quella della manovalanza che faceva da apparato, da cinghia di trasmissione tra il territorio, gli eletti e la linea politica da applicare agli atti politici in parlamento o nelle amministrazioni. Oltre che organizzare gli eventi, le manifestazioni. Poi quel cemento, che teneva bene o male su il tetto del partito, divenne superfluo perché i soldi erano finiti e perché la macchina web si ritenne più efficace e meno costosa. Si fa per dire.
La sbornia comunicativa ha sempre i suoi effetti, specialmente quando tocca i temi che fanno presa. Ma la politica è anche un’altra cosa, vero Bellerio, Carlo?
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