Categorie: Cultura

Se lo Stato non c’è, almeno ci resta uno scampolo di chiesa

di Sergio Bianchini – Domenica scorsa aspettavo con curiosità la predica del prete nella chiesa di Vimodrone. Avevo già letto nel foglio preso all’ingresso i consueti tre brani con cui inizia sempre la funzione. Uno scritto biblico, uno scritto di San Paolo e poi un brano dei vangeli.

Il primo narrava di re Davide e del profeta Natan sul costruendo tempio divino, il secondo era una esortazione alla preghiera, il terzo sulla parte del dialogo tra Pilato e Gesù dove Gesù dichiara si di essere re “ma non di questo mondo”.

L’affermazione di Gesù termina con l’esaltazione della verità. “sono venuto …per dare testimonianza della verità.”

Siccome io ho sempre sostenuto l’importanza di dire o almeno di dirsi la verità mi sono concentrato su quest’ultima riga e aspettavo per vedere come il prete ci sarebbe arrivato.

Lui ha preso il discorso da lontano dicendo che in effetti per noi la discussione sul re o non re è poco attuale (vero, pensavo, siamo ormai tutti repubblicani) e che in fondo anche sapere esattamente la relazione tra padre e figlio non ci interessa molto. Ma siamo tutti interessati alla verità se di mezzo c’è il coniuge, o i figli, o il governo.

Vero, pensavo, ecco l’esaltazione di una cosa importantissima. Non dire le bugie, dire esattamente come stanno le cose o come si pensa che stiano. Ma ancora una volta il prete mi ha spiazzato. Perchè ha parlato della “verità di Dio” che non è il contrario della bugia ma è il modo “con cui lui ci ha amato”.

E quindi il discorso è approdato là dove sempre approda in chiesa e cioè sulla benevolenza. Sì, la benevolenza, orizzontale e verticale, coi vicini e coi lontani, con quelli sotto e quelli sopra di noi. La benevolenza punto di partenza e di arrivo di ogni discorso.

E devo dire che questo approdo è uguale a quello che sentivo già da piccolo decine di anni fa e che probabilmente è l’essenza della religiosità italiana. La mitezza di carattere e il rifiuto della cattiveria, anche se motivata o almeno giustificata da ragioni forti.

In Italia, per la grande maggioranza di noi niente appare giustificatore di una giustizia inesorabile. Lo capii profondamente già durante il sequestro di Moro la cui uccisione fu la fine del lunghissimo periodo del terrorismo italiano.

Poi c’è stata la preghiera per i morti di tutte le guerre, senza distinzione tra aggressori ed aggrediti. Addirittura si sono invocati questi morti, posizionati sicuramente in cielo, perché ci aiutino ad edificare un mondo di giustizia e di pace.

Non so se questa predica sia canonica e sentita ugualmente in tutte le chiese o abbia una curvatura particolare dovuta al prete nuovo del paese. Ho chiamato un amico per sapere cosa gli fosse rimasta della predica oggi nella sua chiesa ma non ci era andato per paura del covid.

E come al solito sono uscito dalla chiesa pensando alla grandiosità particolare della chiesa cattolica e contemporaneamente alla miseria dello stato italiano che continua a declinare verso un futuro fosco. C’è un legame tra le due cose?

Per fortuna il declino della nazione e dello stato è ancora non cruento forse proprio grazie alle quotidiane millenarie iniezioni di benevolenza della chiesa.

Ma proprio partendo da visioni pietose e benevolenti verso tutta la società, possibile che non riusciamo a trovare il bandolo della matassa per un’inversione di marcia?

Redazione

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