Categorie: Cultura

Perché dimenticano la spallata che diede al fascismo il grande sciopero operaio del 1943?

di Roberto Gremmo – Da parte delle autorità italiche sempre pronte a celebrare ogni minimo batter di ciglia dei papaveri dell’antifascismo unitario e patriottico non c’è stato finora nessuna volontà di ricordare come si deve l’ottantesimo anniversario dei grandi scioperi operai del marzo 1943 che segnarono l’irrimediabile frattura del mondo del lavoro col fascismo ed espressero una totale condanna della guerra imperialista.

L’imbarazzo del Palazzo e’ comprensibile.

Ingessati nella fantasiosa interpretazione dell’antifascismo come moto unitario e senza contrasti i maggiorenti della storiografia hanno grande imbarazzo nel dover prendere atto che la vera, prima e decisiva opposizione era nata fra i lavoratori, non nei cenacoli dell’ intellettualismo di fronda ne’ tanto meno nei conciliaboli “ciellenisti” che prefiguravano la spartizione partitocratica del dopoguerra.

Il grosso della mobilitazione si verificò a Torino, ma il Biellese proletario non fu da meno.

Nell’ormai lontano 1981 pubblicai sugli scioperi del ‘43 un approfondito studio del compianto amico Giuseppe Regis, all’epoca, come me, militante m-l, che ricostruì la genesi della protesta, lo sviluppo della mobilitazione nelle fabbriche e lo sconcerto dei capetti in camicia nera di fronte ad un’inatteso, molto spontaneo ma anche assai determinato, atto di rivolta. Basata sui rapporti allora ancora inediti degli inebetiti e sorpresi fiduciari dei sindacati fascisti, la ricerca di Regis e’ ancora completa ed obiettiva e aiuta a demistificare molti luoghi comuni perché conferma che gli Agnelli ed ì Valletta, come i padroni del vapore biellesi che si scoprirono democratici dopo la guerra, nel1943 erano fedelissimi in orbace, ma gli operai proprio no. 

Roberto Gremmo

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