Categorie: Cultura

A trattare con l’Europa ci mandiamo il lombardoveneto, che è meglio…

di GIUSEPPE REGUZZONI

Mitteleuropa non significa solo Europa Centrale, significa Centro dell’Europa, perché l’Europa ha una storia, delle radici profonde e un cuore che sono altra cosa da quella costruzione massonico finanziaria che è l’attuale Unione Europea.
Quello di Mitteleuropa è un concetto che, oggi, in Italia è ridotto a categoria artistico-letteraria, in Germania e in Austria è al più accettato come riferimento storiografico, non senza qualche imbarazzo derivante da quella che Hinz ha definito la “psicologia della disfatta”.


Eppure non si tratta di un concetto vuoto. La Mitteleuropa, a noi Lombardi e Veneti, parla di una storia di relazioni, di un’anima e di un’identità in gran parte sommersa ed espropriata dalla storia “artificiale” di uno Stato-Nazione che non è mai riuscito a realizzarsi compiutamente.
A cento anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale è più che mai evidente che le astrazioni di Versailles, i confini disegnati con squadra e compasso, non hanno funzionato. Con i suoi venti milioni di morti, la Grande Guerra è stata la premessa di tutti i regimi totalitari del secolo XX, della seconda guerra mondiale, della spaccatura artificiosa tra Europa occidentale e orientale, della guerra fredda e dei mostri che ancora oggi minacciano la pace e la libertà. L’Europa ha un cuore, che per sessant’anni è stato diviso, ma, ora, le ragioni della geopolitica tornano a farsi sentire, come un fiume carsico che riemerge prepotente.


Come Lombardi e come Veneti vorremmo ripensare il nostro rapporto con l’Europa in riferimento a questo suo cuore antico, non agli artifici di un atlantismo radicale, quello su cui insistono i centri teocon e neocon, che ha ormai fatto il suo tempo. Ormai persino negli Stati Uniti ci si comincia a rendere conto che i deliri neocon sulla lotta al terrorismo globale e sull’esportazione della democrazia (chissà perché le due cose dovrebbero per forza andare insieme?) non hanno prodotto che devastazione, morte e ulteriore fanatismo. Le “primavere arabe”, la Libia, la Siria, l’Iraq, l’Afganistan sono lì a dirlo. L’Ucraina sta conoscendo la “democratizzazione” dei premi nobel per la pace UE.


L’Europa delle regioni e dei popoli non è semplicemente l’antitesi dell’UE così come la conosciamo oggi, è, piuttosto, l’ultima possibilità che l’Europa ha per essere se stessa e non ridursi allo stato di colonia.
Non si tratta, peraltro, solo di un progetto o di uno slogan. L’Europa dei popoli e delle regioni è il criterio con cui vogliamo valutare e giudicare quello che accade alle nostre porte.

Basta chiedersi chi sono i nostri vicini. Basta passare le Alpi, affacciarsi su di esse, per percepire un’aria diversa, un modo di vivere e di lavorare che sentiamo più nostro di quello dei corridoi e dei palazzi della Roma del Potere. Lo so, si obietterà, che di questi nostri popoli è rimasto poco, ma poco è infinitamente più di nulla e, a volte, dove non arrivano gli ideali, arrivano gli interessi. La questione sociale, il dramma del lavoro che non c’è, l’oppressione fiscale, la decrescita disordinata non potranno avere risposte a livello di stato-nazione per il semplice fatto che il centralismo, di cui esso si nutre, non riesce più a conciliare i diversi interessi delle parti che lo compongono. E, a questo punto, prima ancora che di identità, è e sarà questione di sopravvivenza …

Redazione

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