di Marcus Dardi – Secondo un manoscritto della biblioteca Trivulziana, nel 1574, il Mastro Valerio di Fiandra, fiammingo di Louvin, che all’epoca lavorava alle vetrate del Duomo di Milano (sue sono le vetrate che raffigurano la vita di Sant’Elena) era aiutato nel suo lavoro da un assistente che lui aveva soprannominato Safran.
Il soprannome derivava dal fatto che questo ragazzo aveva la mania di mescolare sempre un po’ di zafferano nelle sue miscele di colori, soprattutto per quelle a tonalità gialla, per renderle cromaticamente più vivaci. Un giorno, per scherzo, il maestro gli disse che continuando così avrebbe finito per mettere del giallo anche nelle pietanze.
Safran lo prese poi in parola. Safran era innamorato della figlia di mastro Valerio, ma lei lo rifiutò e scelse un altro uomo come marito. Il giorno delle nozze della figlia di Mastro Valerio, Safran, un po’ per scherzo ma forse più per gelosia, si accordò con il cuoco incaricato del banchetto e fece aggiungere dello zafferano al riso, all’epoca condito con il solo burro.
Il risotto, accolto inizialmente con stupore e diffidenza dai commensali ebbe poi un grandissimo apprezzamento, grazie non solo al gusto saporito dello zafferano, ma anche al suo colore giallo oro, sinonimo di ricchezza e allegria. Fu un successo così strepitoso che la notizia del piatto “alla moda” corse rapida per tutta la città e ben presto tutta Milano assaggiava il risotto colorato di giallo.
Ancor oggi lo zafferano è un segno distintivo della cucina milanese.
Photo by Mehdi Torabi
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