di Stefania Piazzo – Tutto ha avuto inizio con twitter e poi facebook… nell’ultimo periodo di presidenza Trump, in particolare dopo l’assalto a Capitol Hill. Il mondo sotto choc ha assistito alla prima più grande censura sulla comunicazione da parte dei gestori dei social. Spazi privati, di fatto, usati da personaggi pubblici per comunicare, fare politica, orientate, convogliare consenso, governare.
Sono quelli che il presidente russo Vladimir Putin, prendendo una posizione che nessuno fino ad oggi aveva assunto, pone sotto la lente: “I giganti tecnologici, soprattutto quelli digitali, hanno iniziato a svolgere un ruolo sempre più significativo nella vita della società” e, spiega, “in alcuni settori essi de facto sono già in competizione con lo Stato”: lo ha dichiarato nel suo intervento da remoto al World Economic Forum di Davos.
Una democrazia parallela, con le sue regole, che però possiede i dati personali di ciascuno di noi, che li interfaccia e li archivia. Editori nella sostanza ma che sfuggono nella pratica alle responsabilità e alle regole della comunicazione tradizionale. Editori quando vogliono ma anche no quando vogliono avere le mani libere per censurare, sospendere, revocare il diritto di parola ospitato sulle proprie piattaforme.
Putin però ha posto la vera questione: entità parallele al potere degli stati, esse stesse potere, tanto più che vivono di parole, pensieri e abitudini dei propri iscritti.
Insomma, di chi siamo sudditi?
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