Categorie: Opinioni

Il PD di Elly Schlein ha una visione strategica e geopolitica? Il ruolo del Nord

di Cuore Verde – Elly Schlein, subito dopo essere stata eletta segretaria del PD, si è affrettata a ribadire la propria contrarietà alla seppur blanda “autonomia differenziata” della Lega tricolore e a confermare il proprio favore all’invio delle armi a Kiev senza alcuna riflessione critica. Eppure la Schlein, alle primarie, ha vinto grazie al netto consenso delle sezioni del Nord dimostrando ancora una volta che esistono due Italie, due PD e, soprattutto, una Padania. Per quanto riguarda l’invio delle armi, fin dall’inizio del conflitto, la maggior parte dei cittadini italiani è sempre stata contraria. E’ ben nota poi la posizione di Papa Francesco sulla necessità di una urgente mediazione. 

Si giustifica la clamorosa sconfitta alle comunali del PD con l'”onda di destra”. In realtà, si tratta di una illusione ottica. Non è la “destra” che avanza ma la “sinistra”, nella sua accezione più ampia, che arretra, come dimostrano le percentuali dell’astensionismo che ormai rappresenta la metà degli elettori con picchi del 60% raggiunti alle ultime elezioni regionali in Lombardia. La maggioranza dei cittadini viene governata da forze politiche scelte da una minoranza degli elettori. La metà della metà. Paradosso democratico.

Le forze politiche che si definiscono moderate e progressiste non intercettano più il consenso di una larga fascia dell’elettorato come dimostra anche il declino di Forza Italia. Le sinistre si sono avvitate sulla estremizzazione di alcune battaglie politiche come quella sull’identità sessuale e sull’ecologismo ideologico proposte con atteggiamenti manichei e con toni da catastrofismo millenarista. Non si può ridurre la lotta politica ad un mondo di “buoni” che lottano contro i “cattivi” per l’affermazione del bene assoluto sul male assoluto. Sarebbe il mondo dell’odio assoluto. Si rifiutano invece le battaglie politiche identitarie, federaliste ed etnoculturali bollate con l’epiteto di “razziste”. 

Nel 1911, Scipio Sighele scriveva: “Io credo ed affermo che il pericolo vero per l’unità della nostra patria non istà nel riconoscere apertamente ch’essa è formata di regioni che hanno idee sentimenti e bisogni diversi, ma consiste nell’ostinarsi a negare questa differenza, e nel voler quindi educare e amministrare tutti gli italiani in un modo identico, costringendoli legislativamente in un letto di Procuste che fa sorgere gli urli della protesta, e fa deviare patologicamente quello spirito regionale che — se fosse rispettato nei suoi giusti limiti — sarebbe ancor oggi, come fu in un certo senso all’epoca dei Comuni, la fortuna d’Italia. E questa mania di un’eguaglianza e di un’uniformità impossibili e innaturali, che ci ha impedito di formare un’anima collettiva veramente degna di noi, specchio fedele di quello che siamo e di quanto valiamo. Perduti nel pregiudizio che base necessaria dell’unità politica sia l’uniformità sociale, noi abbiamo lavorato inutilmente, colle leggi e colle frasi, a creare un tipo unico di italiano che non esiste e non può esistere; e non ci siamo accorti che il nostro dovere di cittadini e di uomini sinceri era invece di lavorare, con un prudente sistema di federalismo amministrativo, allo sviluppo autonomo dei varii tipi di italiani, i quali, tutti insieme, avrebbero cooperato a formare dell’Italia, non un organismo rigidamente monotono, ma un organismo sciolto libero snello che nella stessa diversità delle indoli di cui era composto, avrebbe trovato le ragioni della sua bellezza e della sua forza”.


In queste ore, nelle terre padane alluvionate, si canta “Romagna Mia”, rivendicando come una forza d’animo interiore collettiva la propria identità etno-culturale. Certo, si può mettere in mano ai bambini delle elementari la bandierina tricolore da sventolare quando arriva il Presidente, ma le differenze esistono e non sono tutte uguali.  Anche dalle parti del PD queste concetti dovrebbero essere riscoperti e chiariti. Magari rispolverando il coraggioso progetto della super-regione della Padania di Guido Fanti. 

Troppo rivoluzionario? 

Stefania Piazzo

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