di Stefania Piazzo – Se, come rileva l’Ocse, un terzo degli italiani (il 35% tra i 16 e i 65 anni) rientra nella categoria degli analfabeti di ritorno, incapaci di leggere, comprendere concetti e idee che superino le tre righe di un messaggio social o di un reels, nonostante le informazioni siano indicate con chiarezza, con la conseguenza diretta e immediata di non avere le competenze per capire, elaborare testi brevi, ci dobbiamo chiedere: sono anche elettori ed eletti che decidono le sorti del Paese? Sì, e non solo.
Più di uno su tre, non capisce. E’ un analfabeta funzionale. E questa schiera non è solo allo stadio o in strada a farsi un ape prima o dopo cena. No no. Quel più di un terzo sta nelle istituzioni, nella scuola, nella pubblica amministrazione, negli enti privati. Nei partiti, nei sindacati, in chi amministra la giustizia, la sicurezza, sono ovunque. Spalmati e spalmabili in una meritocrazia dove quel terzo di troppo decide per chi, invece, capisce e lavora anche con il minimo di buon senso per risolvere cose semplici in modo semplice. Invece, sappiamo come quasi tutto ciò che abbiamo attorno sia costruito per complicarci la vita. Irragionevole, ingiusto, assurdo. Costoso.
Le cosiddette competenze cognitive sono quasi al palo, spiega l’Indagine sulle competenze degli adulti (Survey of adult skills) realizzata nell’ambito del Programma dell’OCSE per la valutazione internazionale delle competenze degli adulti (Programme for the international assessment of adult competencies, Piaac).
In Italia l’indagine è stata realizzata dall’Inapp su incarico del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Tre i passaggi chiave: non avere piena capacità di lettura e comprensione di testi scritti (dominio cognitivo della literacy), non avere piena capacità di comprensione e utilizzo di informazioni matematiche e numeriche (dominio cognitivo della numeracy) e non avere piena capacità di raggiungere il proprio obiettivo in una situazione dinamica in cui la soluzione non è immediatamente disponibile (dominio cognitivo del adaptive problem solving).
Nord, Centro e Sud danno risultati diversi. Il Centro Nord è piuttosto allineato con i parametri europei, nel Mezzogiorno il report indica “valori sempre significativamente inferiori alla media italiana e conseguentemente a quella OCSE”.
Tutte le riforme possibili non hanno cancellato questo dato, nonostante le lauree brevi e i percorsi simili. Solo il 20% delle persone di 25-65 anni ha un livello di istruzione pari o superiore alla laurea e ben circa il 38% ha un titolo di studio inferiore al diploma.
Svettano invece nel complesso Finlandia, Giappone, Olanda, Norvegia e Svezia: sono i Paesi con le migliori prestazioni in tutti e tre i parametri.
In particolare il confronto resta impietoso laddove si citano Paesi più virtuosi, ed è così che la fredda e lontana Finlandia spicca rispetto alla prosopopea del Belpaese. Un laureato italiano ha un punteggio nella ‘literacy’ inferiore a quello di un diplomato finlandese (287 punti, per non parlare dei 313 punti dei laureati del Paese).
Dopo la lettura di questi dati, cambierà qualcosa? Avanzerà una classe dirigente scelta su parametri più virtuosi? E i concorsi, a cosa servono, se restiamo così invischiati dietro ad uno sportello con la sfortuna di trovare il supponente di turno? O in strada, con chi crede di avere il mondo e la nostra vita in mano solo perché porta una divisa, offendendo chi quella divisa la onora a rischio della propria vita? E gli insegnanti? Che dire della scuola, delle promozioni, dei voti, dei dati Invalsi? E quando si va alle urne, esercitando il diritto di voto, cosa si combina? Si combina il Paese che descrive l’Ocse. Una Repubblica fondata anche su più di un terzo di analfabeti funzionali, che comandano.
Superfluo rispondere alla domanda: quanto leggono i giornali, quanto si informano oggi i cittadini, facendo pure la tara ad una informazione faziosa, lecchina, superficiale, che allontana dalla comunicazione? Un belino, leggono.