Categorie: Opinioni

Convegno Autonomia e libertà/Fondazione Oneto – Non solo Nord e Sud. Il Centro è in fibrillazione. La terza via è l’Italia di tre macroregioni

di Sergio Bianchini – Sabato 13 maggio ho assistito al convegno indetto dall’associazione Autonomia e libertà, Fondazione Oneto e con la partecipazione di Grande Nord  all’Hotel Cavalieri dove si tentava di esaminare lo stato e le prospettive di un nuovo nordismo dopo la fine dell’esperienza bossiana.

Nell’intervento conclusivo dell’ex ministro Castelli si avanzavano riserve sullo spirito di fondo che animava tutti gli interventi precedenti e cioè che l’unico obiettivo vero per ridurre l’oppressione dello stato centrale dovrebbe essere la costruzione in padania di uno stato libero e indipendente. Ma questo, diceva Castelli,  non è stato possibile nemmeno quando la lega era al massimo della potenza e quindi non resta che seguire l’azione dentro e tramite i governi nazionali.

Personalmente ho confutato in un brevissimo intervento la tesi esposta da Castelli secondo cui il nord è sconfitto in partenza perché ha meno del 50% della popolazione italiana.

Ancora una volta devo confutare la visione dominante secondo cui in Italia esistono solo il nord e il sud.

Ho detto più volte che le macroregioni fondamentali in Italia sono tre, il nord, il centro e il sud.

E questo non per una geometrica e astratta divisione in tre parti della carta geografica ma per ragioni storiche profonde ed anche per sensibilità politiche ancora oggi preponderanti.

La rilevanza del centro Italia si manifestò fino a 20 anni fa con la presenza maggioritaria del partito comunista che fu capace di una buona amministrazione del territorio ancora oggi rimpianta.

Il partito negli anni “70, in piena fase terroristica, decise di allearsi al sud rispolverando la questione meridionale e dette il via al compromesso storico con al centro Berlinguer e Moro. La cosa fu sgradita a mio parere al superpotere internazionale ma sul piano interno fu vincente e fece del blocco centrosudista la forza che prese il totale sopravvento nella gestione dello stato.

Questa alleanza fu giocata nello spogliare la ricchezza del nord e distribuirla nel centro sud. Cosa per certi versi anche giusta se contenuta entro limiti accettabili. Ma i limiti sono stati assolutamente superati portando alla ribellione culturale da un lato e al soffocamento dello sviluppo economico dall’altro.

Il centro Italia cominciò ad avere dubbi sull’alleanza col sud proprio con Renzi che non a caso parlando di necessità di ridurre le tasse e rilanciare l’economia del nord si attirò le ire del potere dominante che alla fine lo schiacciò.

Ma l’Italia centrale è in piena fibrillazione perché comprende che la vecchia alleanza non può durare. E così sono apparsi dopo Renzi Calenda e Meloni che vogliono una alleanza col nord e rinnegano il patto centrosudista coi 5 stelle chiaramente sostenitori della politica di ultraprelievo fiscale sul nord.

Bisogna dire che negli ultimi 15 anni tutte le figure politiche di rilievo vengono dal centro Italia, compreso Grillo che, aiutato dal solito utopista nordico mise in piedi i 5 stelle unendo l’utopismo egualitario con la fame atavica di risorse del sud. Anche Letta proveniva dalla toscana ma era per la continuazione dell’alleanza centrosudista. Grillo ha cercato non solo di mantenere questa alleanza ma di portarla ad un livello superiore.

Le tre aree del paese sono molto forti e radicate culturalmente e politicamente. Basta pensare che il referendum sulla devoluzione del 2006 vinse solo in Lombardia e Veneto e quello di Renzi del 2016 vinse solo in toscana e romagna con l’aggiunta secondaria del trentino Alto Adige.

Entrambi i referendum sono stati bocciati nella macroregione sud.

Sarebbe molto utile che il nord capisse queste caratteristiche dell’Italia e mettesse mano ad una intensa collaborazione del nord con il centro uscendo dallo spirito secessionista disperato e da un nazionalismo generale senza strategia e pieno di improvvisazioni e contraddizioni.

Redazione

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