Categorie: Opinioni

Ciao Silvio. Quel centrodestra liberale che ha perso l’occasione della vita

di Stefania Piazzo – Mentre si celebra la memoria di Silvio Berlusconi, occorre fermare le lancette e guardare al progetto di un centrodestra che ha  mancato il suo più grande appuntamento con la storia, la svolta liberale.

Forza Italia è stata un baricentro, assieme alla Lega bossiana, nella tenuta democratica del Paese. La Regione Lombardia, negli anni formigoniani, al di là dei giudizi nel bene e nel male, era un caposaldo di questa spinta innovatrice.

Poi il meccanismo si è inceppato. La malattia di Umberto Bossi, il fermo forzato, l’avanzare nel Carroccio di succedanei inidonei a proseguire la rivoluzione messa in atto dal suo fondatore, la rincorsa ad occupare sempre più spazi della destra storica, hanno contribuito a demolire le intuizioni di quella coalizione che portò a metà anni ’90 ad avere più di 180 parlamentari leghisti a Roma. Ad ottenere in Parlamento la devolution, a spingere sul federalismo.

E’ storia passata, ormai, ma sta di fatto che chi poteva avere il testimone di quel processo, per portarlo avanti, mentre i rispettivi leader invecchiavano e non potevano più avere la forza fisica per stare in prima linea 24 ore su 24, ebbene chi poteva e doveva ha tradito. E riportato indietro le lancette della storia. Verso il più becero e restauratore centralismo.

Una catastrofe, macerie che sovrastano la scena politica, dando così spazio a quello per cui non era nato il centrodestra. Il Nord era rappresentato dalla spunta modernizzatrice ed europeista dei popoli di una Lega Nord delle origini. Al Cavaliere il resto dei consensi, sapendo che chi vinceva al Nord, governava il Paese.

Oggi chi vince al Nord, Fratelli d’Italia, governa il Paese. Nei giorni in cui si celebrano le opere politiche e imprenditoriali di Silvio Berlusconi e in cui gli odiatori ancora dileggiano sbavano in tv o sui media per proseguire a seppellirlo di insulti e processi mediatici, sullo sfondo fa rumore proprio questo disallineamento del Paese. Un Sud alla disperata ricerca di fondi, consensi, opere pubbliche, un centro che guarda al Nord e un Nord che sta a Roma. Un disastro.

Che sta in piedi è l’asse atlantico e la politica economica, in un governo che sembra, nelle direttrici principali di politica estera ed economica, appunto, un Draghi 2. Non sarà certo il Ponte sullo Stretto a rendere solido il governo, quanto, piuttosto, i Giorgetti, i Cingolani, i capi di gabinetto di origine draghiana, e una premier che viaggia a Washington e Bruxelles. Come è giusto che sia per il ruolo che occupa. Intanto però nessuno più alza la bandiera, originale, del Nord produttivo, di quella Padania che piaceva persino a Clinton.

Stefania Piazzo

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