Se quella di Zelensky rischia di essere la vittoria di Pirro

2 Maggio 2025
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di Luigi Basso – Dopo mesi di trattative più o meno riservate tra l’Ucraina e gli USA, culminate con la famosa lite nella Casa Bianca tra i due Presidenti, all’improvviso nella notte scorsa è stato dato l’annuncio della stipula dell’accordo avente ad oggetto metalli, terre rare, nonché le materie prime ucraine e l’affare della ricostruzione, il tutto in cambio dell’impegno bellico USA contro la Russia.


Nessuno ha potuto finora leggere l’accordo, ma questi sono i punti salienti che trapelano dal comunicato stampa del Tesoro americano.
Probabilmente sull’accelerazione impressa alla chiusura delle trattative ha avuto un ruolo decisivo l’inerzia totale dimostrata da Francia, Germania e UK che, dopo aver promesso solennemente a Zelensky che avrebbero supplito al disimpegno di Trump, dopo mesi di roboanti vertici e di scenografici summit nei saloni degli antichi Re, non sono stati in grado neppure di mettere insieme tra tutti un contingente di 25.000 uomini da inviare nelle retrovie (a Odessa e dietro il Dnepr, si disse) da usare come deterrente contro l’avanzata di Putin.


E difatti oggi la stampa ucraina lamentava sostanzialmente che l’Europa era tutta “chiacchiere e distintivo”.


L’immobilismo europeo ha spinto così, probabilmente, Zelensky ad accettare quelle condizioni che a febbraio aveva respinto, sicuro dell’appoggio europeo. Dunque, secondo le prime indiscrezioni l’Ucraina avrebbe ceduto gran parte delle ricchezze interne agli americani in cambio di protezione.


Certamente, dal punto di vista politico, Zelensky ha ottenuto una ottima chance di sopravvivere a se stesso, sebbene ad un prezzo carissimo: far diventare l’Ucraina un asset americano.


A questo punto Trump potrà giustificare davanti ad un’opinione pubblica Yankee storicamente molto scettica verso l’impegno in Ucraina, un coinvolgimento militare sempre maggiore.


Della serie: non stiamo regalando soldi, armi e domani, chissà, soldati a Kiev perché siamo anime belle come Biden, ma perché dobbiamo tutelare i nostri interessi materiali e le “nostre” ricchezze.


Da questa storia tutti escono perdenti, tranne Zelensky.
Da parte sua Trump gioca irresponsabilmente col fuoco facendo un investimento ad altissimo rischio: il business ucraino delle materie prime e della ricostruzione darà frutti (oggi persino difficili da quantificare) in un futuro imprecisato, legato a doppio filo alle sorti assolutamente aleatorie della guerra, mentre il rischio di un coinvolgimento diretto degli USA e della NATO in una guerra su grande scala è davvero enorme.
Infatti, se la Russia ha fatto la guerra in Ucraina per evitare che Kiev entrasse nella NATO, allora non può accettare che l’Ucraina diventi addirittura un asset americano, un protettorato di Washington.
Insomma, la bilancia tra costi e benefici sembra completamente squilibrata: rischiare una guerra nucleare per le ricchezze dell’Ucraina non sembra una genialata.


Gli Stati Europei escono dalla faccenda a pezzi, irrilevanti davanti al Mondo persino nel loro “giardino”: lo si era capito durante i funerali del Papa, allorquando Zelensky e Trump avevano educatamente messo da parte i leader del Vecchio Continente, declassati al rango di parolai senza eserciti.
Oltretutto l’Europa è sull’orlo di una guerra nucleare alle sue porte, che rischia di combattere agli ordini di Trump e senza la prospettiva di bottino.
Una catastrofe.


Putin si ritrova in una situazione molto pericolosa, di fatto costretto a fronteggiare la peggiore ipotesi: la guerra contro la NATO, oggi compattata dietro il Presidente USA.
Un disastro per Mosca.
L’Ucraina si ritrova nell’occhio del ciclone, teatro di una guerra tra giganti, con un futuro da colonia chiunque sarà il vincitore.


Insomma, l’unico vero vincitore oggi sembra essere Zelensky, a meno di clamorose retromarce o inversioni a U: si è garantito l’appoggio di Trump e la permanenza sul “trono” di Kiev, anche se di un Paese senza sovranità.
Una vittoria di Pirro, appunto.

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