di Roberto Gremmo – Non si può dire che i baldanzosi attivisti antirazzisti se ne stiano con le mani in mano. Partita la campagna per eliminare, costi quel che costi, ogni segno di discriminazione la loro storica battaglia politicamente corretta non si è più fermata. Ed ha colpito duro proprio sulle Alpi. Ovviamente, non ha tolto di mezzo le scritte italianiste ed imperialiste del funereo monumento alla vittoria di Bozen, ma un bieco simbolo di suprematismo bianco, ancora inspiegabilmente presente li vicino. Ce ne da’ notizia con grande soddisfazione “il fatto quotidiano”, informando i suoi lettori dell’ultima, vittoriosa impresa dei riformatori globalizzanti e progressisti di tutto e di più.
Veniamo così a sapere che nella remota (passatista e conservatrice) val Badia ancora resisteva ad ogni modernità un rifugio alpino che ostentava il nome, odioso e razzista, di “Negerhutte” e quel suono sgradevolmente discriminatorio che per anni non ha dato fastidio a nessuno, improvvisamente è apparso come l’emblema bieco e sinistro d’una persistente mentalita’ razzista e fascista.
Poco importa che in tedesco “Negerhutte” significhi “capanna scura”, come, appunto, e’ il colore del legno della baita, il “negher” visto con gli occhiali deformati del fanatismo e’ finalmente apparso inaccettabile.
E così, scrive il “Fatto”, “un gruppo di turisti tornati a casa ha raccolto centinaia di firme e indirizzato una lettera al presidente Mattarella” e alla fine i gestori del rifugio, per quieto vivere, hanno deciso di sbattezzare l’edificio, facendolo diventare (ma solo in italiano) “Capanna nera”.
Lodi ed encomi ai valorosi scarpinanti della domenica che hanno tolto di mezzo, in un colpo solo, una scritta in lingua tedesca (odiosa perché usata da testardi montanari che vogliono restare se stessi) ed un assonanza fonica che suona male alle orecchie dei nuovi signori figli della “neolingua”. Non orwelliana, ma del pensiero unico.
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