Categorie: Cultura

I compagni nemici delle autonomie vogliono una scuola massificante e dialettofoba come nel Ventennio?

di Roberto Gremmo – Si chiama Unita’ e si proclama erede del quotidiano fondato nel 1924 dal Partito Comunista per dividere gli elettori socialisti con liste settarie e minoritarie chiamate arbitrariamente di “Unita’ popolare”; favorendo un dissidio che favori’ la vittoria delle camicie nere.

La nuova Unita’ scende in campo, buon ultima, anche per opporsi a quella che definisce “secessione dei ricchi” dimenticando che i primi a dichiarare di voler dividere il Nord dal Sud Italia e dalle Isole furono i capi del P.C.I. nel 1931 al congresso che dicevano d’aver fatto in Germania, mentre erano riuniti a Mosca.

Per recuperare il tempo perduto, il nuovo quotidiano batte tutto il coro trombonico nazionalista e si dedica pancia a terra nel cercare argomenti per convincerci che, togliattianamente, bisogna combattere “il federalismo” (intervista palmiresca del 1946 a l’Unita’).

E tutti i pretesti sono buoni.

Anche quelli che non c’entrano un fico secco.

Oggi, ad esempio, per mettere in guardia sui rischi di disuguaglianza che comporrebbero nuove autonomie, in un articolo a firma Astolfo d’Amato compare la clamorosa notizia che un’indagine autorevole ha accertato che e’ “Triplicato negli ultimi anni il divario fra bambini del sud e del nord di quarta elementare nella capacità di lettura e comprensione del testo”.

Invece di ammettere che gran parte di questo differenza e’ causata da un sistema scolastico gerarchico e basato su metodi educativi sempre meno legati alle differenze territoriali, l’autore sostiene che solo una scuola ancella dello “Stato centrale e’ in grado di costituire un potente fattore di eguaglianza” e che pertanto serve una didattica standardizzata, respingendo ogni suggestione localista che sarebbe “potente fattore di diseguaglianza”.

La pensavano già così i tagliagole giacobini che sradicavano le lingue e le culture locali, imponendo a tutto l’Esagono “per essere tutti uguali”, l’idioma di Parigi.

Oggi lo stesso spettro viene evocato per osteggiare ogni cambiamento che valorizzi le differenze culturali, al Sud come al Nord, con insegnanti non imposti burocraticamente dal vertice ma figli del territorio e con progetti educativi e didattici che tengano conto delle varie culture, del contesto sociale e del reale grado di apprendimento degli alunni.

Lo aveva ben capito la riforma Gentile del 1923 incentrata sulle esperienze culturali dell’ allievo, valorizzando il suo ambiente d’origine e soprattutto dando il giusto peso al suo dialetto. Una scelta di campo, quasi subito cancellata dal Fascismo. Perché era Mussolini che voleva livellare gli italiani, anche imponendo una scuola dialettofoba, massificante ed alienante.

La stessa che vogliono i nemici delle autonomie?

Roberto Gremmo

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