di Giuseppe Rinaldi – Come ogni bella donna Elva (Cuneo) non la raggiungi se prima non la conquisti. Sta alle pendici del monte Pelvo (3064m. s.l.m.), dove ha messo radici sin dall’epoca longobarda, in una zona che è stata anche territorio della potente abbazia di San Colombano di Bobbio e del suo ricco feudo, cui dipese l’abbazia di San Dalmazzo di Pedona. Il Barbarossa concesse tutta la val Maira al vescovo di Torino (pertanto anche Elva), rendendo così a lui vassallo il Marchese di Saluzzo che l’aveva avuta dada quello di Busca. Questi luoghi furono anche dei francesi e come tali percorse dalle forze ugonotte del Maresciallo Roggero di San Lavy, per poi, con il trattato di Lione (1601) passare definitivamente sotto i Savoia. Elva ebbe anche statuti, privilegi e libertà, attraverso l’atto marchionale del 1475.
Più in dettaglio, va detto che l’esigenza di una via diretta da Stroppo a Elva, evitando i colli San Giovanni e Bettone, parte da lontano, concretandosi attorno 1838, quando una delibera comunale fu indirizzata al Duca Vittorio Emanuele, allo scopo di sensibilizzare le autorità sovrane al problema. Sin qui tra il paese e il fondo valle con la sua carrozzabile c’era solo un improvvisato sentiero o poco più. La speranza di avere una via più comoda sembrò avvicinarsi quanto nel 1880 muore un ricco commerciante del luogo, l’oste Claro Alessandro, della borgata Traverse che lascia in eredità 15.000 lire da utilizzarsi allo scopo. Un primo tracciato è aperto tre anni dopo, grazie anche ad una sottoscrizione ed alla partecipazione gratuita ai lavori da parte di persone del luogo. Nel 1893 quel tracciato diventa un viottolo che raggiunge la strada a fondo valle, l’isolamento di Elva sembra finito. Ma solo per chi aveva il coraggio il affrontare l’itinerario, giacché, come scrive Ettore Dao nel suo libro «Elva un paese che era» “…in diversi tratti bisognava procedere carponi aggrappandosi alle rocce con il pericolo di perdere l’equilibrio e precipitare nel burrone a picco sottostante”.
Occorre attendere il 1959 per vedere il progetto interamente realizzato, dopo oltre un secolo dalla posa dell’ideale prima pietra e con le caratteristiche di una strada vera e propria. Nel 1970 arriva addirittura l’asfalto.
Ma i sogni svaniscono all’alba, quando nel 2014, la Provincia di Cuneo “chiude” al traffico la Strada del Vallone” per pericolo frane. Fine di un miraggio affacciatosi oltre un secolo e mezzo addietro.
ELVA
A parte le borgate, le case di Elva, sede municipale, stanno tutte in un lembo di terra. Discosta dalle costruzioni e a ridosso del locale cimitero, c’è la perla di questi luoghi che videro passare tribù d’Elvi e soldati Romani, Saraceni e l’eresia Ugonotta. Trattasi della parrocchia di Elva la cui costruzione è datata attorno al 1351 e le cui ultime modifiche si fanno risalire al 762 con la realizzazione della cappella di San Pancrazio, patrono di Elva. Edificata su un precedente tempietto, è innalzata all’onore di chiesa parrocchiale in alternativa a quella precedente dedicata a San Bernardo. E’ un capolavoro di architettura tra il gotico e il romanico. Intitolata a S. Maria Assunta, gareggia per bellezza con la chiesa di San Pietro sita più a fondo valle verso Stroppo. L’interno è pieno di affreschi eseguiti in tempi diversi. Quelli della volta attribuibili a un artista tardo gotico, mentre quelli delle pareti sono riconducibili a Hans Clemer (sec. XV-XVI), pittore fiammingo, naturalizzato francese, molto attivo nel territorio e nella zona di Saluzzo, presso la cui cattedrale si trovano sue opere. E’ noto anche come Maestro d’Elva, proprio per la rilevanza dei suoi lavori in questo lembo di terra piemontese storicamente legato alla cultura occitana.
Gli affreschi attribuiti all’artista fiammingo rappresentano scene della vita di Gesù e della Madonna e sono ottimamente conservati; nella parete di fondo del presbiterio spicca una crocefissione di notevole drammaticità. Degni della massima considerazione sono, inoltre, la decorazione scultorea del portale d’ingresso, quella dell’arco trionfale in pietra verde e del fonte battesimale trecentesco.
Dalla pagina web dedicata a “Elva e la Val Maira” si può apprendere molto di più ove si voglia apprezzare anche la piccola cappella dal lato dell’ingresso:
“qui trova posto una tela rappresentante la Vergine con Bambino e Santi datata 1694, un Crocifisso in legno di fattura rustica datato fra il XV e il XVI secolo, vi è poi la Fonte Battesimale datata tra la metà del 1300 e l’ inizio del 1400. Essa è costituita da due blocchi con rappresentati in basso il regno del male con figure umane incatenate portate da animali, nella fascia intermedia delle figure del Purgatorio, in alto il regno della beatitudine con figure aureolate, Gesù e cherubini e tre teste forse raffiguranti la Trinità. L’ultima fascia contiene l’inizio delle Preghiere del Pater, Ave Maria e Credo. Per questi suoi contenuti è definita la piccola Divina Commedia.
Appena fuori dalla stanzetta notiamo il pulpito in legno costruito da un artigiano Elvese nel 1845-46. a lato dell’ ingresso troviamo, murata, l’Acquasantiera datata 1463. Sul lato opposto dell’ingresso e partendo dal fondo risalendo troviamo: la statua dell’Assunta, la pala dell’Assunta, la Cappella di San Pancrazio, datata 1762, con all’interno un altare monumentale e la statua del Santo Pancrazio di cui la festa del 12 Maggio segnava il rientro in paese di quanti praticavano i mestieri itineranti nei mesi invernali, ad esempio i Caviè. Proseguendo con la visita troviamo infine la Pala del Rosario firmata da Giovanni Pietro Botta tra il 1600 e il 1700”
Una sosta, infine, presso il locale museo dedicato ai commercianti di capelli, non può mancare. E’ una curiosità d’altri tempi. La storia documentata di un mestiere faticoso ma di tutto rispetto quando anche i capelli, soprattutto quelli delle donne, erano merce di scambio.
Su tutta questa bellezza si erge il monte Pelvo d’Elva, che dai suoi 3064 metri da sempre guarda gli uomini e le cose, tra storie e leggende. Una di queste per concludere.
“Si diceva che una volta il Pelvo fosse così alto che le nuvole non ne raggiungevano mai la punta, sempre illuminata dal sole. In un giorno di nebbia una pastorella decise di arrampicarsi fin lassù per incontrare il sole. Dalla cima essa poté ammirare un mare bianco che si estendeva tutto intorno, allungò un piede nella sua direzione ma precipitò nel vuoto. Da quel momento la montagna che sovrasta la conca elvese, si abbatté su se stessa fino a raggiungere gli odierni 3064 metri e da allora la sua vetta è spesso avvolta da cumuli di nubi, che la percuotono con tuoni e lampi”.
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