Categorie: Politica

Fantapolitica – L’Obamagate, Trump, e il voto per non processare Matteo

di Cassandra – Chiamiamola anche fantapolitica. Ma c’è chi mette in stretta relazione l’Obamagate col voto che Italia Viva ha espresso in Giunta per le autorizzazioni a procedere per non far processare Salvini per l’attività di blocco degli sbarchi con una vecchia storia, ma non troppo. Ovvero l’Obamagate. L’accusa è che Obama si sia servito di servizi segreti stranieri, tra questi quello italiano sotto la presidenza Renzi, per assumere informazioni sulla campagna elettorale del suo avversario. Vero, falso?

La storia è “vecchia” ma chissà che non sia in evoluzione.

In alcuni atti (trascrizione di interrogatori) della commissione di controllo dei servizi segreti, si sarebbe fatto riferimento a un coinvolgimento dell’ex presidente Usa, Barack Obama circa le indagini sul generale Michael Flynn, che doveva diventare capo per Trump della DNI (Director of National Intelligence).

Per diverso tempo il repubblicano e capo dell’Fbi, Christopher Wray, nominato nel 2017 da Trump per sostituire James Comey (voluto da Obama), non avrebbe reso pubbliche quelle pagine.

Ma cosa sarebbe emerso?

Che non starebbe in piedi l’ipotizzato asse tra Washington e Mosca per dire che le elezioni del 2016 era state “aiutate” così da annullarne la validità, colpevolizzando Flynn e quindi Trump.

Per farla breve breve, non c’erano prove provate che Trump avesse avuto contatti con i russi, né lui né i suoi collaboratori.

Le cronache narrano che il dossier anti Trump, lo Steele Dossier (dal nome di un ex agente segreto britannico, Christopher Steele) sarebbe stato avviato su input della società Fusion GPS, che sarebbe stata pagata 12 milioni di dollari da Hillary Clinton e dal DNC (partito democratico americano).

Come poteva una indagine di parte essere strumento di lavoro dell’Fbi? Bella domanda.

L’idea che prende forma è che si sia trattato di un tentativo fallito di colpo di stato contro Trump. E che, secondo i repubblicani, Obama avesse dato ordine di incastrare il generale Flynn per contatti con la Russia, in realtà di ordinaria amministrazione.

E Matteo Renzi? Con queste vicende non c’entra nulla. Ma l’Italia a quanto pare inciampa nella vicenda di George Papadopolous, consulente della campagna di Trump.

L’uomo sarebbe stato agganciato da un professore maltese, Joseph Mifsud. Si sarebbero incontrati in Italia, e la loro frequentazione sarebbe finita in una ‘contro-inchiesta’ sul Russiagate condotta dall’Attorney General (il ministro della Giustizia Usa) William Barr e dal procuratore John Durham, creando non pochi imbarazzi al premier italiano Giuseppe Conte, per il coinvolgimento dei nostri servizi di intelligence.

Ma Mifsud e Papadopoulos potrebbero essersi conosciuti prima, a Londra, frequentando un’altra organizzazione, il London Centre of International Law Practice (Lcilp), come descrive in una inchiesta su Adnkronos delll’ottobre 2019 Marco Liconti.

Il Lcilp, si trova nel quartiere londinese di Holborn. “Secondo la moglie di Papadopoulos, la Mangiante, che pure ha frequentato il Centro per un breve periodo, si trattava di un posto “finto, una copertura”. Una copertura per cosa, non viene specificato, ma solo sottinteso. Papadopoulos nel 2016 era membro dell’Lcilp, come da lui stesso confermato”.

Ma anche Mifsud frequentava l’Lcilp, diventandone anche direttore.

“Eppure – si legge – , è da Roma e non da Londra, secondo le ricostruzioni contenute nel Rapporto Mueller e confermate dello stesso Papadopoulos e dalla moglie, che avrebbe avuto inizio il ‘Russiagate’, con il primo incontro tra Mifsud e Papadopoulos. Fu dopo quel primo ‘ufficiale’ contatto romano nel marzo del 2016, che Mifsud avrebbe infatti proposto a Papadopoulos, da poco nominato dall’allora candidato repubblicano Donald Trump consulente per “l’energia e il petrolio” della sua campagna, materiale “sporco” sulla candidata democratica, Hillary Clinton: migliaia di email compromettenti, in possesso del governo russo.

Da qui sono nati i guai di Papadopoulos e, soprattutto, quelli della Presidenza Trump. La contro-inchiesta che Trump, tramite Barr e Durham sta conducendo per smontare il ‘Russiagate’, punterebbe invece a dimostrare che l’offerta di materiale compromettente sulla Clinton, altro non era che una ‘polpetta avvelenata’ impastata dall’Amministrazione Obama e da governi amici dell’epoca, come quelli britannico e italiano, per ‘azzoppare’ fin dall’inizio un’eventuale Presidenza Trump”.

Se gli sviluppi dell’inchiesta andassero ancora avanti, mettendo a nudo scenari di collaborazione molto stretta con l’amministrazione Obama, chi potrebbe difendere il garantista Matteo Renzi?

Stefania Piazzo

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