Categorie: Opinioni

Sciopero della fame in carcere- Per la morte dell’indipendentista sardo Doddore Meloni non una parola di umanità. Per Cospito, invece…

di Roberto Pisani – 5 luglio 2017, carcere di Uta, Cagliari: muore Salvatore “Doddore” Meloni di fame e di sete dopo uno sciopero durato 66 giorni. 

Secessionista, ha sacrificato la sua vita in nome dell’indipendentenza sarda. Personaggio sicuramente ecclettico, sotto certi aspetti discutibile per alcune sue iniziative, ma fermamente convinto che la sua terra, la Sardegna, non dovesse far parte dello stato italiano. E non era l’unico anche al di fuori dei confini regionali sardi. 

Arrestato nell’ottobre 1984 viene condannato a nove anni di carcere, con revoca del diritto di voto e interdizione perpetua ai pubblici uffici, con l’accusa di cospirazione politica e associazione sovversiva contro la integrità, l’indipendenza e l’unità dello Stato. Va ricordato a tal proposito che Meloni è l’unico ad essere mai stato condannato per questo reato.

Scontata per intero la sua pena si ritira dalla vita politica e torna a fare l’autotrasportatore. 

Viene di nuovo arrestato, con un’azione clamorosa degna dei migliori, o peggiori, film polizieschi americani, mentre sta andando a costituirsi a seguito di una condanna definitiva per frode fiscale. Nella sua borsa pochi oggetti personali e un libro: la biografia di Bobby Sands, indipendentista nordirlandese deceduto in carcere a causa di uno sciopero della fame e della sete durato, anche per lui, 66 giorni.

Proprio nei giorni della morte di Meloni si discuteva della possibile scarcerazione di un tal Totò Riina che era detenuto in regime di 41bis gravemente malato e del diritto di ogni essere umano ad una morte dignitosa e non in regime di carcerazione.

Evidentemente due pesi e due misure?

Perché vale la pena di parlare di questo? Perché quello che sta succedendo in questi giorni con la vicenda di Alfredo Cospito ricorda entrambe le cose e le mischia inesorabilmente. Da una parte un attivista politico detenuto per le sua idee, anarchiche, che ha gambizzato una persona, che è carcerato in regime di 41bis e, pare, con una protesta che avvantaggerebbe la criminalità organizzata mafiosa e che sta facendo uno sciopero della fame, ma non della sete, e dall’altra una serie di movimenti, da quelli anarchici ai vari comitati per i diritti dei detenuti che chiedono la revisione del carcere duro per chi commette reati legati alla criminalità organizzata mafiosa. 

Due visioni politiche differenti, certo, una indipendentista e contro l’unità dello stato italiano, considerato un invasore territoriale, e l’altra anarchica. 

Un’unica certezza: di uno non se ne è quasi parlato e mentre l’altro riempie le pagine di tutti i giornali e occupa buona parte dei notiziari e dei talk show. 

Ancora una volta due pesi e due misure con un unico comun denominatore: quello più colpito e colui che a questo stato non credeva.

Ma alla fine aveva ragione Massimo D’Azeglio quando diceva: fatta l’Italia bisogna fare gli italiani?

Stefania Piazzo

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