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Draghi sale in cattedra: contrordine, l’UE non è più irreversibile. La globalizzazione è finita: ha vinto l’Identità

di Luigi Basso – Mario Draghi non è mai banale e, dato che è l’unico uomo pubblico italiano che studia, merita sempre di essere ascoltato e, talvolta, riascoltato.
L’altro giorno l’ex Premier ed ex banchiere centrale, in occasione della consegna di un premio al MIT di Boston, ha tenuto un discorso memorabile, che lui stesso ha definito non a caso “una lezione”, impartita ad un autorevole auditorio che rappresentava idealmente l’intellighenzia occidentale.


Il Maestro non ha tradito le aspettative ed ha spiegato chiaramente, senza fare sconti a nessuno, quello che è successo negli ultimi 50 anni, agevolato in ciò, come ha onestamente riconosciuto, dal “beneficio della retrospettiva”.


In buona sostanza Draghi ha ammesso che l’Occidente ha fallito il piano di conquistare il mondo attraverso il fenomeno della globalizzazione, di cui la UE ha rappresentato il prodotto più mirabile e fulgido.


L’occidentalizzazione del mondo, in particolare dell’Asia, che sembrava inevitabile dopo la caduta del Muro di Berlino, si è scontrata contro l’inaspettata impermeabilità di Russia e Cina ai canoni politici, filosofici, etici del liberalismo anglo-europeo.


La privatizzazione di tutti i mezzi di produzione a livello globale sembrava cosa fatta e ciò – secondo le aspettative dei globalisti – si sarebbe dovuto inevitabilmente “ribaltare” sui sistemi politici orientali, “occidentalizzandoli”.
Il piano sembrava ineccepibile, ma in realtà conteneva – parlando col senno di poi – due fattori intrinseci di debolezza sottovalutati: la Russia e la Cina.


Le classi dirigenti di Cina e Russia hanno – certo – fatto affari con l’Occidente, ma non si sono occidentalizzate ed hanno anzi rigettato integralmente il “liberalismo” come sistema di valori.


Su tale fattore di debolezza si sono poi inserite le disuguaglianze terribili prodotte dalla globalizzazione che l’hanno fatta percepire dalle popolazioni mondiali alla stregua di un processo ingiusto e selvaggio: ciò ha agevolato Russia e Cina, che non hanno neppure dovuto faticare con le loro rispettive opinioni pubbliche per convincerle che il modello di società anglo – europeo fosse inaccettabile.


Trump, la Brexit, il Covid, sono stati poi i fattori “occasionali” sui quali il processo della globalizzazione si è fatalmente arenato.
La guerra in Ucraina e l’inflazione sono le due sfide che oggi impongono di uscire dalla globalizzazione molto rapidamente per ridisegnare un nuovo sistema mondiale: prima le élite occidentali se ne renderanno conto e meglio sarà per tutti.


La situazione è talmente grave per le élite occidentali che Draghi, dopo aver ripetuto per decenni, in tutte le occasioni, che l’UE e l’Euro erano irreversibili, ha dovuto per la prima volta proprio a Boston riconoscere che la UE (e quindi l’Euro) è ad un passo dalla sua dissoluzione.
D’altra parte, se la UE è il prodotto più sublime della globalizzazione, non si vede come la prima potrebbe sopravvivere alla fine della seconda.


L’ammissione da parte di uno dei paladini della UE che quest’organizzazione sta per essere travolta rappresenta davvero un momento rivoluzionario, storico.


Draghi ha per la verità anche detto che solo la vittoria dell’Ucraina contro la Russia potrebbe consentire alla UE di sopravvivere, ma in realtà questo scenario – peraltro oggi altamente improbabile – è sembrato più l’esercizio dell’ossequioso ottimismo dell’ospite (della serie “coraggio, non tutto è perduto”) che non una previsione scientifica: infatti, anche se l’Ucraina vincesse la guerra contro la Russia respingendo Putin nei suoi confini, non si vede come tale fatto potrebbe invertire la fine della globalizzazione e trasformare il Partito Comunista Cinese in una succursale del Rotary.


La prospettiva in atto descritta a Boston da Draghi, cioè da uno dei più autorevoli promotori ed ideologi della globalizzazione, rimette in gioco, in chiave di prospettiva storica, il tema delle identità territoriali che dovranno giocoforza riequilibrare gli assetti dei vecchi stati nazionali che, dopo la fase della globalizzazione, non potranno certamente riproporsi tali e quali a quelli del secolo scorso.


Infatti il ritorno dell’industria in Occidente ridisegnerà per forza tutta la cartina geografica e politica dell’Europa e del mondo anglosassone.
Tempi interessanti ci attendono: la Storia, data per morta dopo la caduta del Muro di Berlino, stava in realtà solo dormendo.

Redazione

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