Categorie: Opinioni

Code alla Caritas più lunghe di quelle per fare il vaccino

 di Stefania Piazzo – Tra le tante parole spese per celebrare la festa dei lavoratori, queste sono a mio avviso quelle che non passano inosservate: “Le file alla Caritas sono più lunghe di quelle per fare il vaccino in questi mesi”. Lo dice Luigi Sbarra, segretario della Cisl, parlando davanti all’ospedale dei Castelli in località Fontana di Papa, in provincia di Roma. “Ci sono – aggiunge – altri 600mila precari, sette su dieci di chi perde il lavoro finisce nel buco nero degli inattivi”. 

Ecco, è talmente potente questa immagine evocata da Sbarra tanto quanto quella reale che alla vigilia di Pasqua avevamo pubblicato proponendo la coda interminabile di milanesi che si erano recati nella struttura di “Pane quotidiano” per ritirare pacchi alimentari e un uovo di cioccolata per i più piccoli.

Il Paese ha fame. E’ stato obbligato a chiudere ed è stato lasciato solo. La pandemia ha portato via un milione di posti di lavoro. Gli aiuti alle attività produttive sono stati risibili, si fa prima a dire nulli. Le cassa integrazioni sono arrivate dopo mesi. C’è un paese garantito, che non ha patito, che non ha perso il lavoro, che non ha generato solidarietà verso l’altro paese senza rete, senza certezze. Caduto nel vuoto.

Sacrifici chiesti da chi non perde il posto a chi il posto lo perde.

Nessun politico che abbia sentito la necessità di ridursi lo stipendio. E’ populismo? No, è responsabilità.

Nell’efficace descrizione di ciò che è in coda nel paese reale e perché, il sindacato ci ricorda che questo è un paese anche perennemente in fila per chiedere qualcosa. Un diritto. Al lavoro, alla salute, alla sopravvivenza. Diritti incompiuti, inevasi, riconosciuti di più se si è statali, non riconosciuti se si è dipendenti privati, imprese. Insomma, se produci Pil. Se lavori per generare a tua volta lavoro, profitto. Se salta il banco hai la coda alla Caritas e, in ogni caso, hai la coda per il vaccino. Se ti va bene il viaggio è breve, altrimenti ti becchi l’inefficienza del sistema che ti frulla chissà dove per la dose. O ti rimanda a casa perché hanno finito le dosi o si dimenticano di avvisarti. O lo fanno all’ultimo telefonandoti.

La fame è di giustizia. Nell’impotenza nel punire chi sbaglia, chi se ne approfitta. Chi è da mandare a casa ma resta sempre al suo posto. Pensavamo di avere toccato il fondo con la legge Fornero, invece no. Chi ha perso il lavoro e non lo trova più, ed è over 50, fino a quando non arriverà a 67 anni, non potrà andare in pensione. Il post covid ci regala la politica previdenziale più cruenta di questi mesi di pandemia.

Stefania Piazzo

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