“La vera democrazia è difesa con grande coraggio e fino al sacrificio da una grande forza popolare, un movimento organizzato e disciplinato. Questo movimento è oggi la Lega Nord e come oggi difende la democrazia dai colpi di coda dei partiti morenti, domani è pronta a governare il Paese”. Lo scriveva Umberto Bossi nella prefazione del libro di Massimo D’Azeglio “La Lega Lombarda” in una edizione 1993, diffusa alla vigilia del compleanno della Lega del 12 aprile Bossi spiegava, fra l’altro, che la sua simpatia per D’Azeglio era soprattutto per motivi politici. Per il fatto che si era interessato alla Lega Lombarda, cogliendo in essa “quella valenza di libertà che è alla base della attività politica” che portò Bossi a fondare la Lega. “Mi spinge ad ammirarlo -dice -come un eterodosso, un elemento atipico del Risorgimento”. E come D’Azeglio “fu affascinato dalla lotta dei popoli del Nord contro l’arbitrio imperiale del Barbarossa, traendo dalla vittoria di Legnano favorevoli auspici per un’analoga vittoria del Lombardo Veneto sull’arbitrio imperiale austriaco”, a Bossi viene da esprimere un auspicio analogo: quello di “liberare, attraverso il federalismo, i popoli italiani oppressi da un centralismo spoliatore e corrotto, inefficiente e distruttore. E di potere cominciare a farlo così come oggi sta accadendo, proprio là dove si formò e vinse la Lega”.
Sono passati 39 anni dalla costituzione della Lega Lombarda. Politici visionari come Bossi ancora non se ne vedono all’orizzonte. Anziché liberare il Nord, chi ha preso come testimone la bandiera della Lega, lo ha relegato a vassallo di quel centralismo “spoliatore e corrotto, inefficiente e distruttore”. Siamo tornati al punto di partenza.
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