Categorie: Cultura

La destra italiana e l’etnia “italiana”

di Cuore Verde – Concordo pienamente con l’intervento di Roberto Gremmo sulla questione delle “etnie”.

https://www.lanuovapadania.it/politica/se-e-un-ministro-italiano-ad-alzare-la-bandiera-delle-etnie-e-non-il-nord/). Il paradosso è evidente: mentre la sinistra pensa di eliminare le diseguaglianze rifiutando ideologicamente le differenze ed agitando lo spettro del “razzismo”, assistiamo al ritorno di una certa destra che ancora vorrebbe ancora rivendicare l’esistenza dell’asserita “etnia italiana”. Una e indivisibile. Una precisa rivendicazione ideologica che è alla base di un “immaginario italiano” che, per affermarsi, deve necessariamente eliminare le “differenze”.

Ecco quindi talune singolari proposte di legge sull’obbligo dell’uso della lingua italiana e il divieto di parole straniere. Si, perché a sentir loro, sarebbe in atto un tentativo di cancellazione della cultura “italiana”. Eppure, la maggior parte delle opere artistiche e dei beni culturali per i quali l’Italia è famosa nel mondo, è stata prodotta quando lo stato italiano non esisteva. Quando l’Italia era “divisa” in stati e repubbliche. Figuriamoci poi il concetto di “nazione italiana”, ancor oggi molto improbabile e difficile da definire.

Penso invece che è stato proprio in nome di questa ideologica “italianità” che siano state effettuate sistematiche operazioni di “pulizia culturale” nei confronti delle varie “etnie” presenti nel territorio dello stato italiano comunque a loro modo “resistenti” ancorché spesso ridotte a macchiette folkloristiche. La stessa definizione di “dialetto” ha assunto una valenza denigrante e squalificante rispetto alla lingua ufficiale.

 Paradossalmente, lo studio scientifico dei “dialetti” è stato variamente sostenuto come metodo per insegnare l’italiano nelle scuole elementari a partire dalla seconda metà dell’ottocento da studiosi come Graziadio Isaia Ascoli fino ad arrivare a Lombardo-Radice. Quest’ultimo, negli anni 1922-1924, collaboratore diretto del Ministro dell’Istruzione Giovanni Gentile, si occupò della stesura dei programmi ministeriali per le scuole primarie, inserendo, fra le altre materie, anche l’uso delle lingue locali nei testi didattici. Il metodo “Dal dialetto alla lingua” di Lombardo-Radice, negli anni seguenti, fu sostanzialmente accantonato perché il fascismo, fortemente impegnato nella costruzione del nuovo cittadino italiano, e, quindi, nella eliminazione di ogni differenza che potesse contraddire questo assunto tanto ideologico quanto artificiale, adottò una politica linguistica chiaramente antidialettale e dialettofoba.

 Si voleva equiparare la pretesa nazione italiana ad una sola lingua attraverso la pratica dello sradicamento sistematico dei dialetti. Reintrodurre lo studio delle lingue locali nelle scuole dopo la seconda guerra mondiale, sarebbe stato, pertanto, un vero e proprio atto “anti-fascista”. Prima di questa fase dialettofoba erano comunque già da tempo in uso testi e dizionari dal dialetto all’italiano corredati di grammatica, declinazioni e verbi, redatti da studiosi e professori patrocinati da scuole ed università. Ad esempio, le opere per le scuole elementari di Giulio Nazari: Dizionario Vicentino-Italiano e regole di grammatica ad uso delle scuole elementari di Vicenza, 1876; Dizionario veneziano-italiano e regole di grammatica ad uso delle scuole elementari di Venezia, 1876, parallelo fra il dialetto bellunese rustico e la lingua italiana. Saggio di un metodo d’insegnare la lingua per mezzo dei dialetti nelle scuole elementari d’Italia, 1894.

Rimarchevole poi la pubblicazione dei testi della serie Esercizi di traduzione dai dialetti (della Liguria, della Lombardia, della Sicilia, ecc.) edita dalla Paravia negli anni ’20. Nelle “Avvertenze per i maestri” di uno di questi testi di può leggere: “Il maestro tenga sempre presente che questi manualetti devono servire non ad insegnare il dialetto, che gli scolari conoscono già perfettamente, ma ad insegnare la lingua per mezzo di esso”.

Quando un popolo riscopre la propria lingua nella dignità di materia scolastica è chiaro che si possono creare le basi per una spontanea e consapevole coscienza politica autonomista. Esattamente il contrario di quello che auspicava la scuola fascista. L’insegnamento delle lingue locali, negli ultimi anni, è stato solo oggetto di banali strumentalizzazioni politiche. L’unica vera battaglia politica è quella culturale. Non si tratta quindi di “diminuire” il sapere degli alunni ma di “aggiungere” cultura. La nostra cultura. Senza inutili conflitti ideologici.    

Redazione

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