di Matteo Ferrario – Prima guerra mondiale, due soldati inglesi devono compiere un lungo viaggio oltre le linee nemiche per consegnare un messaggio e salvare un reggimento che sta per cadere in una trappola dei tedeschi.
Ce la faranno?
Analisi. Trovo che oggigiorno, quando si realizzano film bellici, si punti troppo sull’imponenza di mezzi e sulla spettacolarità delle scene d’azione piuttosto che sulla trama, la quale viene spesso ridotta a un’esaltazione dell’eroismo e del patriottismo completamente fine a sé stessa.
Queste sono le accuse che parte della critica ha rivolto a questo film che oggi mi accingo a recensire.
Premesso che rispetto l’opinione altrui, io non sono minimamente d’accordo con tali illazioni e ritengo che questo film possa essere considerato, non solo uno dei migliori film di guerra degli ultimi dieci anni almeno, ma anche il migliore in assoluto nella filmografia del regista inglese Sam Mendes.
Più che un film sul patriottismo è un film sull’amicizia, infatti le ragioni che spingono i due protagonisti a tentare l’impresa sono ben diverse dal voler servire la patria.
Intendiamoci, il patriottismo c’è ma non è la solita esaltazione dei valori della patria e della libertà: è il patriottismo dei veri soldati che avrebbero rischiato di tutto per salvare i loro commilitoni.
Come recita un capolavoro dello stesso filone, “Flags of our fathers” di Clint Eastwood: “Avranno anche combattuto per la patria ma sono morti per i loro compagni”.
I soldati del Kaiser non sono gli antagonisti in questo film, il nemico è un altro e ben più temibile: il tempo.
I nostri due eroi devono correre a perdifiato, senza mai fermarsi, mentre il tempo passa e l’ora della catastrofe si avvicina ma il loro scopo non è, come spesso accade, uccidere il maggior numero di nemici possibili e vincere la battaglia, bensì impedire che essa abbia luogo così da evitare il massacro.
Non c’è riposo, né la possibilità di piangere gli amici morti: qualsiasi cosa succeda bisogna continuare a correre!
Le scene d’azione sono sì spettacolari (il film è costato circa 90 milioni di dollari) ma sono comunque al servizio della storia e per niente gratuite e non si vede quasi mai un uomo uccidere un altro uomo.
Ma, nonostante non si vedano effettivamente uccisioni, il film è comunque pieno zeppo di cadaveri: uomini squartati, cavalli crivellati di colpi e persino carri armati dilaniati da esplosioni e in fase di arrugginimento.
La guerra, secondo Mendes, non è azione, né gloria: è morte.
In questo viaggio attraverso trincee bombardate, pantani pieni di morti e città devastate pullulanti di nemici, si manifestano tutte le crudeltà della guerra (la morte, la separazione dalle persone care e la paura di tornare alla vita civile) ma emergono anche il coraggio dei soldati e il loro spirito di unità, di sacrificio e soprattutto di amicizia.
Queste caratteristiche sono tipiche delle storie di guerra raccontate dai grandi autori come Remarque o Lussu, infatti il regista ha tratto spunto dai racconti di suo nonno, reduce della grande guerra, al quale ha dedicato il film.
È un film di guerra fatto da chi la guerra l’ha conosciuta anche senza combatterla.
Visione consigliata.
Critica: 4
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