di Cassandra – Francesco De Gregori è un artista che non si scomoda per nulla. Solitamente ermetico nei suoi testi poetici, questa volta è stato esplicito più che mai, affidando al Corriere della Sera un editoriale per reagire, scandalizzato, al manifesto che Ama, l’azienda municipale per i rifiuti e l’ambiente, ha dedicato alla raccolta dei rifiuti ingombranti. Su uno di essi, appaiono accatastate decine e decine di volumi. Libri, insomma, da buttare.
Libri come vecchie poltrone, vecchi frigoriferi, elettrodomestici. Un ingombro metafora della cultura di oggi. Un libro vale tanto quanto un rubinetto da gettare, un bagno da portare in discarica, un cesso rotto.
Ben ha fatto il cantautore, che è anche il mio preferito, a denunciare l’ignobile abbinamento, accoppiamento, accostamento tra la cultura e un bene di consumo che perde valore quando ha finito il suo ciclo. Come il tempo di un post sui social.
E’ l’emblema della nostra società, dove non si ripara nulla, dove non si ricicla, dove un guasto non si aggiusta, dove si compra e si brucia in fretta il bene acquistato. Dove non si pensa, si clicca.
I libri si possono gettare. Una pila che a De Gregori ha rievocato una pira storica. La verità con cui Ama si confessa confessando il nostro mondo, la nostra vita, attraverso la finestra mondiale di Roma, è che dei libri non ce n’è bisogno. Se ne può fare a meno. E d’altra parte si vede come sta Roma, e come il contagio della capitale si rifletta dentro i palazzi. Da vetrina, fucina, motore del Rinascimento, dell’arte senza tempo, a piattaforma per conferire l’inutile, il superfluo di oggi: la lettura, la cultura, la fatica di approfondire.
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