Categorie: Cronaca

Protezione civile e dieci task force non fanno neanche mezzo Zamberletti

di Stefania Piazzo – Il 3 marzo scorso cioè all’anno zero dell’epidemia, con le prime uscite televisive della Protezione Civile, mi chiesi: ma Giuseppe Zamberletti sarebbe apparso in tv alle 18 per dare dei bollettini di guerra o avrebbe fatto altro? Avrebbe diretto le operazioni da Roma o avrebbe messo una tenda a Codogno e una a Vo’?

Perché quando c’è un terremoto, la zona del “cratere”, quella a più alto rischio, non è solo monitorata, ma è anche “visitata” dalle istituzioni. Almeno per dare un segnale di vicinanza, di umanità, di partecipazione per com-patire insieme alle popolazioni che hanno solo la colpa di viver lì, lavorare, fare famiglia, pagare le tasse come tutti gli altri cittadini italiani, e forse anche di più di altri cittadini, una situazione di straordinaria gravità.

Chi non dimentica la disastrosa alluvione in Valtellina del 1987, ha indelebile nella memoria il nome di Giuseppe Zamberletti, varesino, politico di un’altra pasta. Lui restò quasi due settimane nelle zone stravolte e devastate dalle frane, inondate. Prese sul posto decisioni che consentirono di salvare vite umane. Inventò la protezione civile e lasciò la Valtellina solo quando a coordinare le operazioni fu nominato l’allora ministro Remo Gaspari.

Oggi invece abbiamo sentito il capo della protezione civile parlare ai microfoni delle televisioni, dalla sede, lontana dal cratere, dei suoi uffici. Certo, le precauzioni sanitarie sono indispensabili. Ma al fronte ci sono stati solo i medici, gli infermieri, il personale ospedaliero.

I generali col cavallo bianco, sono rimasti sulla collina e hanno lasciato che fossero le truppe senza protezione a sminare il terreno nemico, strisciando nel fango. Il premier, ha fatto il vice sul campo. Parlando la sera per annunciare i Dpcm, a distanza.

Non c’è stato un coordinamento sul territorio, ogni Regione ha fatto da sè. I più previdenti hanno circoscritto, aggredito il Covid, altri hanno atteso le decisioni da Roma.

In altri tempi, avremmo visto appena possibile un Sandro Pertini visitare le zone più colpite. Non a caso lo ha fatto un Sergio Mattarella che appartiene ad un’altra categoria rispetto ai politici di oggi. E Giuseppe Zamberletti, sarebbe stato ospite in una tenda a ridosso delle zone isolate. Vogliamo pensare ad una Nilde Jotti che avrebbe preso il treno e che si sarebbe diretta a parlare alle donne, alle famiglie, alle scuole per dire loro di resistere e reagire. Vogliamo sognare una che Rita Levi Montalcini con due parole avrebbe messo a tacere le diatribe tra scienziati. O un Bettino Craxi che avrebbe reagito all’ondata di esasperato allarmismo che ha visto chiudere voli, confini, scambi commerciali.

Oggi dei politici incolore smistano il traffico, parlando con un tono ovvio e burocratico. Non ci rappresentano. Non ci hanno mai rappresentato.

Zamberletti, dall’alto proteggici.

In uno straordinario documento pubblicato sul sito https://www.studiomajone.it/giuseppe-zamberletti-un-ricordo-del-fondatore-della-protezione-civile/ vengono riproposte alcune parole del ministro che coordinò i primi passi della protezione civile. Eccole.

“…per la prima volta, riuscivamo ad occuparci di proteggere e metter in salvo i vivi, più che a predisporci e attrezzarci per raccogliere morti, nel modo più svelto ed efficiente possibile: in fondo, per me significava il migliore compimento possibile del mio mandato. La Valtellina è poi anche la storia di una comunità scientifica finalmente aggregata alla protezione civile, con le scarpe nel fango, e non più chiusa nella comoda turris eburnea del mondo academico. E’ anche storia di decisioni sofferte, e storia di di istituzioni che in fondo sono rappresentate da uomini con tutti i loro dubbi e le loro debolezze …”. L’emergenza vissuta in Valtellina testimonia la “… storia di un sistema che in quella vicenda troverà motivi di profonda crescita spirituale e professionale”.

La “Commissione Valtellina”, nominata da Zamberletti e confermata dal ministro Gaspari a lui succeduto, era presieduta da Ugo Majone e composta da Lunardi, Govi, Siccardi, Mortara, Verde, Fiore: essa aveva il compito di “studiare i fenomeni ai fini della formulazione di proposte per l’attuazione dei provvedimenti di urgenza”.

Ebbene, mi sono presa la briga di contattare proprio lo Studio Majone, per avvisarli della citazione tratta dal sito professionale. Ne è emersa una viva corrispondenza che meriterebbe un convegno sulla protezione civile.

In sintesi… Oggi, godiamo di un sistema nato 30 anni fa, da una serie di provvedimenti di legge, ma costruito da professionalità che si sono formate giorno per giorno sul campo, lontano da riflettori e telecamere, nel più totale anonimato.

Trenta task force non fanno neanche un mezzo Zamberletti.

Stefania Piazzo

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