di Stefania Piazzo – Ma ci voleva Bruno Vespa per svergognare la classe politica di lotta e di governo che diserta Camera e Senato da due settimane?
Oggettivamente no. Lo sforzo di lavorare viene chiesto a tutti. Ai lavoratori, agli imprenditori. Ad altri viene chiesto di fermarsi, che vuol dire alla ripresa, quando ci sarà, rischiare di non sapere come pagare gli stipendi ai dipendenti. E chi sta in fermo obbligatorio non guadagna. Ma non in Parlamento. La macchina è ferma per paura di contagio però il sacrificio è chiesto da chi con cinica redistribuzione del debito per legge dispone di restituire in appena 18 mesi quanto non versa oggi in contributi e adempimenti vari.
Va da sè che in un clima di debolezza economica, sommata alla debolezza politica, il governo, e i governatori, si appoggiano all’ordine pubblico, chiedono misure forti. Quello che loro non sono: fermi, fermi di quella fermezza che viene dalla competenza, non dall’improvvisazione.
Hanno sbagliato tutte le previsioni. La Protezione civile non ci rappresenta. Le sue conferenze stampa sono bollettini anaffettivi, non trasmettono nulla se non volti algidi e distaccati dal dolore, dalla speranza. Di questa classe politica possiamo farne a meno.
Ma invocare “gli uomini forti” nel momento del bisogno, sperare che a rimettere ordine ci pensi l’esercito, mentre il Parlamento si fa i cazzi suoi, è la via più facile per immaginare che qualcuno rimetta finalmente le cose a posto.
Davanti ad un mitra ti fermi. Il diritto, dicono i giuristi, è stato stravolto. Le libertà individuali soppresse per decreto.
Va da sè che la conta dei morti non consenta in una popolazione che ha sempre accolto gli invasori come liberatori, non faccia riflettere sull’uso da stato di guerra di alcune misure forti.
Ma allora lo si dica. Si dichiari lo stato di guerra, ognun per sè e Dio con tutti.
Poi, seppelliti tutti i morti, un referendum tra governo degli incapaci e un paese federale, con un Nord libero da questo contagio dell’ignoranza politica.
Photo by Jesse Chan
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