Categorie: Lombardia

No, ma tranquilli… Non esiste una questione settentrionale. Metalmeccanica, più 4664 aziende in crisi in Lombardia

Tranquilli, non esiste una questione settentrionale, il Covid non ha colpito il Nord. “La pandemia ha impattato in modo inimmaginabile sulle situazioni di crisi dell’industria metalmeccanica lombarda. Da gennaio a fine giugno 2020 sono state colpite dalla crisi 18.673 aziende contro le 392 di fine 2019 (+4664%) e 382.885 lavoratori (+2115%; erano 17.288 nel periodo precedente)”.

È quanto emerge dal 49esimo Rapporto sulle situazioni di crisi dell’Osservatorio della Fim Lombardia, relativo al 1° semestre 2020. “I dati dimostrano quanto l’impatto del Coronavirus sia stato profondo e quanto sia necessario che il piano per l’utilizzo del Recovery fund si concentri su: transizione tecnologica, formazione e politiche attive, investimenti a favore dei soggetti più deboli. Permanendo il divieto di licenziamento e gli ammortizzatori sociali, temiamo un contraccolpo occupazionale nel 2021”, commenta Andrea Donegà, segretario generale della Fim Cisl Lombardia, il sindacato dei lavoratori metalmeccanici. Nel semestre aumenta il numero delle imprese coinvolte dalla cassa integrazione ordinaria (14.468 aziende contro le 359 del semestre precedente) e il numero di lavoratori coinvolti (339.248 contro i 15.343 del semestre precedente). Aumenta anche il numero delle imprese che hanno fatto ricorso alla cassa straordinaria intendendo, in questo caso, unicamente, la cassa integrazione in deroga, utilizzata da 4.195 aziende (24 nel semestre precedente) per un totale di 43.531 lavoratori coinvolti (1.762 nel semestre precedente). La mobilità, anche e soprattutto per il divieto ai licenziamenti imposto per decreto, resta praticamente costante per quel che riguarda il numero di aziende interessate, ovvero 10 (9 aziende nel semestre precedente) fissando a 106 il numero di lavoratori coinvolti (183 nel semestre precedente). “Temiamo che i lavoratori più colpiti, alla fine, saranno quelli a salario più basso, occupati in attività a bassi contenuto tecnologico e valore aggiunto, ai margini delle catene globali delle produzioni – sottolinea Donegà -. Il rischio è di aumentare le disuguaglianze tra alte professionalità, che possono lavorare anche da remoto, e quelle più povere dal punto di vista dei contenuti professionali, con mansioni ripetitive o che necessitano di lavoro in presenza e in prossimità, una condizione resa difficile dal distanziamento. Sono questi i lavoratori che rischiano di pagare il prezzo più alto. Uno scenario a cui dobbiamo opporci con un investimento straordinario in formazione e riqualificazione”. I territori maggiormente coinvolti sono Bergamo (il 23,8% sul totale dei lavoratori di aziende in crisi in Lombardia), Brescia (il 17,62%), Monza Brianza (il 15,36%) e Milano (il 13,36%). “Nella nostra Regione ci sono le filiere produttive maggiormente interessate dai processi di innovazione e al centro del cambiamento tecnologico in corso: automotive (componentistica), macchine utensili, nanotecnologie, sistema spazio e satelliti – conclude Donegà -. Sono alcune delle principali filiere di eccellenza italiana, che hanno bisogno di essere sostenute nella transizione tecnologica che le sta riguardando e che sono in grado di generare ulteriore occupazione”. “È fondamentale – aggiunge – anche l’impegno di Regione Lombardia sulle infrastrutture digitali, spingendo anche sul 5G, sulle politiche attive legate alle esigenze del territorio e delle imprese locali per favorire occupazione e competitività aziendale e sul sostegno all’internazionalizzazione”.

Redazione

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