Categorie: Economia

Istat, “20 anni di mancata convergenza tra Sud e resto d’Europa”. Nonostante i fondi (40 miliardi all’Italia)

L’Europa è sempre più lontana dall’Italia e dal suo Mezzogiorno. I fondi della politica di congiunta, che per il periodo 2021-2027 destinano al Paese oltre 40 miliardi di euro, non sono riusciti a ridurre il divario nel reddito procapite con le altre aree dell’Unione europea che, anzi, continua ad aumentare. ‘La politica di coerente e il Mezzogiorno. Vent’anni di mancata convergenza’ è il titolo del nuovo studio dell’Istat che racconta il distacco crescente con il resto dell’Ue. 

Nel 2000, nessuna regione italiana era fra le ultime 50 per reddito, misurato come Pil procapite a parità di potere d’acquisto, ora ce ne sono quattro: la Puglia, la Campania, la Sicilia e la Calabria. E questo nonostante l’allargamento ai nuovi Paesi dell’Ue abbia fatto calare il dato medio. Anche al di fuori delle regioni meno avanzate, un progressivo allontanamento dall’Ue ha segnato tutto il Paese. 

Tra le prime 50 regioni in Europa per reddito, dieci erano italiane nel 2020, ve ne sono rimaste solo quattro (le Province autonome di Bolzano e di Trento, la Lombardia e la Valle d’Aosta). Il Mezzogiorno, con l’eccezione dell’Abruzzo, rappresenta oggi “l’area più vasta e popolosa di arretratezza economica dell’Europa occidentale”, e le sue difficoltà sono interamente dovute alla mancanza di lavoro. Del resto, il tasso di occupazione è inferiore alla media Ue di ben 20 punti percentuali. In questo contesto una speranza viene dagli ultimi quattro anni, favoriti dalla fase di investimenti post Covid. 

“Qualcosa – osserva l’ Istat – sembra essere uniformemente mutato” e tra i territori italiani che crescono ad un ritmo superiore alla media europea, c’è il caso della Lombardia (+1,9% annuo), ma anche quello della Puglia ( +1,8%) e della Basilicata (+2,5%). Al momento, comunque, le previsioni dell’Istatper il 2030 sono di un divario con l’Europa che continuerà ad allargarsi pressoché ovunque in Italia, per effetto anche della crisi demografica. A meno di non intervenire sull’occupazione, e in particolare l’occupazione femminile. 

Redazione

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