Categorie: Economia

Eurispes, un Paese ricco di lavoro nero e povero di contratti a tempo indeterminato e risparmi. Ci si cura meno e si chiede aiuto ai genitori

Il lavoro nero è una realtà diffusa. Lo rileva il 36esimo Rapporto Italia di Eurispes: il 40,5% degli intervistati, infatti, dichiara di aver lavorato senza contratto: l’8% sempre o spesso, mentre quasi un terzo (32,5%) una volta o qualche volta. La maggioranza degli intervistati che lavorano attualmente o hanno lavorato in passato (59,5%) afferma di non aver mai lavorato senza contratto. Tra questi, il 38,2% non accetterebbe di farlo, il 21,3%, al contrario, accetterebbe in caso di bisogno. I dati – rileva il rapporto – confermano la diffusione del lavoro nero nel nostro Paese, anche tenendo conto che il fenomeno tende a restare in parte nascosto e potrebbe, dunque, coinvolgere una quota anche superiore di cittadini. L’esperienza di lavorare senza regolare contratto viene riferita con maggiore frequenza dei media dagli intervistati con basso titolo di studio: il 55,2% tra chi non ha alcun titolo di studio e il 50,8% tra quanti hanno la licenza elementare. D’altra parte, il fenomeno tocca in maniera consistente anche il 39,3% di chi ha un diploma e il 35,2% di quanti sono laureati. Lavorare senza contratto è capitato con frequenza ai giovanissimi: il 56,8% dei 18-24enni (spesso e qualche volta). A seguire si sono trovati a lavorare in nero il 48,3% dei 35-44enni e il 43,3% dei 25-34enni.

LAVORO POVERO

Il fenomeno dei ‘working povero’, ovvero della povertà lavorativa, ha coinvolto il 12% dei lavoratori italiani nel 2022, con un reddito inferiore a 11.500 euro annui. questo dato è superiore di quattro punti rispetto a Germania e Francia e di due punti rispetto alla media dell’Ue.

CONTRATTI

 Solo il 16,5% delle nuove assunzioni nel 2023 sono state a tempo indeterminato, il 44,3% a tempo determinato, il 14% stagionali e il 12% in somministrazione. Inoltre, tra il 2000 e il 2022, la precarietà lavorativa in Italia è aumentata in modo significativo, con i lavoratori con occupazioni standard scesi dal 65% al ​​59,9%. Il numero di lavoratori dipendenti a termine è aumentato da 1,5 milioni nel 1990 a oltre 3 milioni nel 2022, con quasi la metà dei contratti inferiori a sei mesi. Nello stesso periodo, la retribuzione media annua in Italia – osserva ancora l’ EURISPES – è diminuita del 3,6%, mentre in altri paesi europei è aumentata: Germania (+179%), Francia (+175%), Lussemburgo (+ 153,3%) e Paesi bassi (+123%). 

INCOMPETENZA DIGITALE

 La carenza di competenze digitali, di base e specialistica, rilevata dal Desi (Digital Economy and Society Index) ancora nel 2023 costituisce un fattore di ritardo nella trasformazione digitale. Infatti, più della metà delle persone in Italia non ha ancora nemmeno le competenze digitali di base, il che rende molto difficile per loro beneficiare delle opportunità digitali ed esercitare i diritti di cittadinanza.

l divario rispetto alla media europea si riduce per le competenze digitali superiori a quelle di base, ma torna ad alzarsi con riferimento alle competenze specialistiche e con riferimento ai laureati Ict. Inoltre, il Desi registra per il 2023 un livello medio di digitalizzazione dei servizi pubblici non completo e pari al 77% e per l’Italia poco meno del 68%. E comunque nel 2022 la Pubblica amministrazione italiana ha speso oltre 7 miliardi di euro in Ict (+5,8% rispetto al 2021). Un dato che secondo le tempi continuerà a crescere nel prossimo triennio, anche grazie ai fondi del Pnrr.

MENO CURE

 “La necessità di ridurre le spese comporta spesso, oltre alla messa in atto di strategie per risparmiare e ottenere liquidità, anche alla rinuncia a spese importanti di carattere sanitario, in alcuni casi anche essenziali per la salute Poco meno di un italiano su tre ha rinunciato a cura /interventi dentistici (29,5%), a controlli medici periodici/preventivi (28,7%) ea trattamenti/interventi estetici (28%). Il 23,1% ha rinunciato a visite specialistiche per disturbi o patologie specifiche, il 17 ,3% a terapie/interventi medici e il 15,9% all’acquisto di medicinali”. 

AIUTI DALLA FAMIGLIA

“Di fronte alle difficoltà economiche, per ottenere liquidità il 32,1% degli italiani intervistati ha chiesto sostegno finanziario alla famiglia di origine il 17,2% è ricorso al sostegno di amici, colleghi e altri parenti il ​​16% ha richiesto un prestito in banca; , mentre il 13,6% ha dovuto chiedere soldi in prestito a privati ​​(non amici o parenti) non potendo accedere a prestiti bancari, una nicchia dove chiaramente può essersi insinuata l’usura inoltre, il 27,5% degli italiani ha ottenuto; liquidità mettendo in vendita beni o oggetti su canali di compravendita on line, tipo E-Bay, Vinted, aste online, ecc e il 15,3% ha dovuto vendere o ha perso beni come la casa o l’attività commerciale/imprenditoriale” .

PEGGIORAMENTO POSIZIONE ECONOMICA

“Nonostante la percezione di un peggioramento generalizzato della situazione economica del Paese, il 40,9% del campione afferma che la situazione economica personale negli ultimi 12 mesi sia rimasta stabile. Anche se con diversa intensità, complessivamente il 35,4% degli italiani denuncia un peggioramento della propria condizione economica, mentre il Il 14,2% riferisce un miglioramento per gli italiani provenienti dal Sud e dalle Isole, il peggioramento della propria condizione economica nell’ultimo anno è superiore rispetto al resto del Paese, rispettivamente del 41,7% e del 41,5%. -Est si registra un miglioramento economico più che altrove (18,8%)”. 

MENO RISPARMI

“A riuscire a risparmiare è solo il 28,3% degli italiani mentre il 36,8% afferma di dover attingere ai risparmi per arrivare a fine mese il 57,4% risponde di non riuscire ad arrivare a fine mese senza grandi difficoltà a fronte; di quanti (sono il 42,6%) non riscontrano impedimenti”. 

MEGLIO ANDARE ALL’ESTERO

 Si legge nel Rapporto EURISPES che meno di un decimo degli italiani (9,1%) lavora interamente da remoto in una località diversa da quella dove ha sede la sua azienda. Quasi la metà dei lavoratori italiani (47,3%) ha valutato, più o meno concretamente, l’eventualità di un trasferimento lavorativo in un paese straniero; alla base di questa ipotesi, la ricerca delle migliori condizioni economiche (28,2%). La maggioranza degli intervistati che lavorano attualmente o lo hanno fatto in passato (59,5%) afferma di non aver mai lavorato senza contratto. Tra questi, il 38,2% non accetterebbe di farlo, il 21,3%, invece, accetterebbe in caso di bisogno. Il 40,5% dichiara, invece, di aver lavorato senza contratto. Un terzo dei lavoratori denuncia la mancanza di sicurezza sul lavoro (33,8%). 

Redazione

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