Categorie: Cultura

Sciopero Ansa. Prima massacrano l’editoria, come hanno massacrato la sanità. Poi piangono (o fanno finta) se chiude un giornale o una agenzia. Vergogna.

Abbiamo seguito, chi più chi meno, lo sciopero di 48 ore dell’agenzia Ansa. Ha fatto rumore. Immaginatevi le cariche istituzionali, i politici, tutta la catena di trasmissione delle notizie interrotta per le rivendicazioni dei colleghi. Il giorno dopo la lunga lista del sostegno alla libertà di informazione iniziava dalle Alpi e finiva alle Piramidi. Ma non c’è solo l’Ansa. Le vertenze si perdono a vista d’occhio. Le ultime in ordine di ore, non di giorni, sono Metro, la Gazzetta del Mezzogiorno e tante altre testate che neppure potete immaginare. Praticamente non c’è giornale che non viva una crisi aziendale. Hanno massacrato l’editoria come hanno tagliato e ridotto la sanità in Italia.

Smettiamola di dire che è colpa dei giornalisti, delle notizie faziose. Certo, le responsabilità sono anche a capo della professione, ma anche di altre realtà istituzionali che hanno consentito che una concorrenza sleale, a zero costi per i lettori, attraverso la rete, annullasse, svilisse, rubasse il lavoro dei giornalisti. La rete come bocca della verità, gratis, anziché la fatica del mestiere. Pubblicità e ricavi alle multinazionali, nessuna tutela per le vere società editrici. Basi fiscali e societarie all’estero, tasse minuscole, ricavi altissimi. Sulla nostra pelle.

La politica doveva sbarazzarsi del pluralismo. Via coi tagli all’editoria, la follia del populismo calato nell’informazione. Un odio verso la categoria senza precedenti, il via libera ai clic, alle frasi fatte, agli ingegneri informatici al posto dei cronisti e della loro fatica di ricercare, verificare le fonti.

La politica ha preferito le frasi ad effetto e il botulismo della rete. Ripristini i contributi all’editoria, forti, sostenga la libertà di informare. Non è un passatempo, è un lavoro, tutelato dalla Costituzione. Meno fiato alle trombe e ai tromboni e più sostegno ai lavoratori. Il caporalato non è solo in agricoltura, ma è vivo e lotta contro di noi nelle redazioni. Fatevi un giro.

A proposito, i giornalisti oggi finiscono ancora in carcere per un reato di opinione-diffamazione. Non abbiamo giunte per l’autorizzazione a procedere che fermano un rinvio a giudizio e un processo. E aspettiamo che anche per il nostro ente previdenziale la politica finga di smettere di occuparsene proponendo ipotetici comunicatori come nuovi contribuenti per non far fallire la nostra previdenza. L’Inpgi torni pubblico. Come lo Stato ha salvato dal default le casse di altri lavoratori, colpevoli solo di essere lì, tolga dalla discesa agli inferi l’Inpgi. Non basta piangere per 48 ore di sciopero dell’Ansa. Meno ipocrisia dalla politica, sempre che la politica ancora esista.

Stefania Piazzo

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