Categorie: Cultura

Islam, Occidente senza rabbia e senza orgoglio

di GIUSEPPE REGUZZONI – La memoria, quella vera, è quella che non si confonde con la cattiva retorica. Non si fa un buon servizio alla pace e alla libertà, se non si chiamano le cose con il loro nome. La cosiddetta primavera araba – la ricordate? – si è rivelata un bluff dai connotati tragici e imprevedibili. Proprio mentre l’Occidente avrebbe dovuto ricordare i fatti tragici, e non ancora chiariti, dell’11 settembre 2001, proprio mentre il politicamente corretto oggi dominante impedisce che se ne faccia memoria in maniera autentica, la sveglia torna a suonare dura e implacabile.

La memoria dell’11 settembre torna a grondare sangue. Otto anni fa l’assalto alla sede diplomatica americana di Bengasi e l’uccisione dell’ambasciatore americano in Libia, Chris Stevens, insieme a un funzionario e due marines, grida con il sangue che lo scontro di civiltà non è una leggenda, ma un dato drammatico, agitato e propagandato con abilità dalle forze oscure che, in questo momento, mirano a destabilizzare il Mediterraneo e a ridisegnare la carta del Medio Oriente. Che, poi, le vittime appartengano all’attore principale, ma non unico, di quella sceneggiatura, tutta occidentale, che ci si ostina a chiamare “primavera araba”, suona come un tragico richiamo a una più realistica visione della storia presente e dell’impossibilità di esportare l’idea occidentale di democrazia là, dove mancano i presupposti storici e culturali che l’hanno generata e la sorreggono.

Anche se la stampa ufficiale non ne parla, preferendo in questo, come su molti altri temi di interesse internazionale, far propria la versione ufficiale della propaganda mondialista, il rovesciamento dei vecchi regimi, dittatoriali, ma sostanzialmente laici e con tratti di ispirazione socialista, ha aperto la strada alle forme peggiori di fanatismo e integralismo islamico.

È quel che è accaduto in Libia e in Egitto e le cui avvisaglie si potevano cogliere anche in Siria, dove i “ribelli” erano per una buona metà “volontari” stranieri di altri paesi islamici e dove la “primavera” si è manifestata soprattutto mediante la distruzione di chiese e monasteri della ben radicata minoranza cristiana.


L’Occidente, che si  presta a questo gioco, dovrebbe riflettere circa il fatto che la pretesa di esportare a ogni costo i propri modelli sociali è, questa sì, solo una forma velata di razzismo e disprezzo per le diversità culturali. Meglio prendere atto che la storia e la cultura di paesi e masse segnate da una religione politica come l’Islam sono differenti e abituate a pensare la volontà di dialogo solo come una forma di debolezza. Meglio sarebbe per noi “dialogare” ponendo di volta in volta condizioni dure e molto chiare. Soprattutto, però, meglio sarebbe ritrovare le radici della nostra storia e della nostra identità, quella fierezza dell’essere liberi e occidentali che Oriana Fallaci chiamava «la rabbia e l’orgoglio».

Altrimenti alla cruenta e illusoria “primavera araba” farà seguito solo l’autunno del nostro Occidente. E questo autunno, triste e indecoroso, è già cominciato nella totale indifferenza dell’Occidente rispetto alla denigrazione e alla distruzione sistematica dei propri simboli più vivi e fecondi, dal Crocifisso all’affermazione delle radici cristiane dell’Europa. La violenza islamica non manca, purtroppo, di ricordarci giorno dopo giorno quanto inutile e dannoso sia l’indifferentismo che stiamo spacciando per tolleranza e libertà d’opinione, lasciando aperta la domanda sul grande burattinaio che sta conducendo questo gioco sporco.

Stefania Piazzo

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