Categorie: Politica

Ma l’Europa a cui guarda Giorgetti è anche la Mitteleuropa di lombardi e veneti, degli “indiani nativi” o solo quella di Bruxelles?

Il ministro Giancarlo Giorgetti ha parlato di Europa l’altro giorno dicendo chiaramente al segretario della Lega Salvini Premier che deve scegliere su quale binario correre. Quello del populismo è un binario morto. La zattera si chiama Partito popolare europeo. Stare a destra della destra non lo porterà poi mai a fare il premier, ha fatto intendere. Però c’è un richiamo che non va sottovalutato ed è il finale di una frase, quella degli indiani nativi. Rileggiamo il passaggio integrale.

“Matteo è abituato a essere un campione d’incassi nei film western. Io gli ho proposto di essere attore non protagonista in un film drammatico candidato agli Oscar. È difficile mettere nello stesso film Bud Spencer e Meryl Streep. E non so che cosa abbia deciso…”. Intanto, però, Meloni continua a mordervi il fondo dei pantaloni, obietta Vespa… “È vero, ma i western stanno passando di moda. Secondo me, sono finiti con Balla coi lupi. Adesso in America sono molto rivalutati gli indiani nativi”. A parte il richiamo all’America, al riconoscimento della linea Draghi e il viaggio recente di Giorgetti negli States, che voleva significare questo inciso? Che certe ragioni identitarie hanno un loro perché? Che la storia gira? Che chi è stato ridotto ad essere una “riserva” ora ha la possibilità di riscrivere la storia? Noi nel frattempo riproponiamo uno scritto dell’amico Giuseppe Reguzzoni. Non è mai troppo tardi per ribadire che il Nord non è Roma, e che l’Europa che più ci appartiene non è quella dello spread. Ma quella dei “padani nativi”. (Stefania Piazzo).

di Giuseppe Reguzzoni – Mitteleuropa non significa solo Europa Centrale, significa Centro dell’Europa, perché l’Europa ha una storia, delle radici profonde e un cuore che sono altra cosa da quella costruzione massonico finanziaria che è l’attuale Unione Europea.
Quello di Mitteleuropa è un concetto che, oggi, in Italia è ridotto a categoria artistico-letteraria, in Germania e in Austria è al più accettato come riferimento storiografico, non senza qualche imbarazzo derivante da quella che Hinz ha definito la “psicologia della disfatta”.
Eppure non si tratta di un concetto vuoto. La Mitteleuropa, a noi Lombardi e Veneti, parla di una storia di relazioni, di un’anima e di un’identità in gran parte sommersa ed espropriata dalla storia “artificiale” di uno Stato-Nazione che non è mai riuscito a realizzarsi compiutamente.


A cento anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale è più che mai evidente che le astrazioni di Versailles, i confini disegnati con squadra e compasso, non hanno funzionato. Con i suoi venti milioni di morti, la Grande Guerra è stata la premessa di tutti i regimi totalitari del secolo XX, della seconda guerra mondiale, della spaccatura artificiosa tra Europa occidentale e orientale, della guerra fredda e dei mostri che ancora oggi minacciano la pace e la libertà. L’Europa ha un cuore, che per sessant’anni è stato diviso, ma, ora, le ragioni della geopolitica tornano a farsi sentire, come un fiume carsico che riemerge prepotente.


Come Lombardi e come Veneti vorremmo ripensare il nostro rapporto con l’Europa in riferimento a questo suo cuore antico, non agli artifici di un atlantismo radicale, quello su cui insistono i centri teocon e neocon, che ha ormai fatto il suo tempo. Ormai persino negli Stati Uniti ci si comincia a rendere conto che i deliri neocon sulla lotta al terrorismo globale e sull’esportazione della democrazia (chissà perché le due cose dovrebbero per forza andare insieme?) non hanno prodotto che devastazione, morte e ulteriore fanatismo. Le “primavere arabe”, la Libia, la Siria, l’Iraq, l’Afganistan sono lì a dirlo. L’Ucraina sta conoscendo la “democratizzazione” dei premi nobel per la pace UE e Obama a colpi di bombardamenti a tappeto sulla popolazione civile delle sue regioni orientali (che sono russe, non russofile).
L’Europa delle regioni e dei popoli non è semplicemente l’antitesi dell’UE così come la conosciamo oggi, è, piuttosto, l’ultima possibilità che l’Europa ha per essere se stessa e non ridursi allo stato di colonia.


Non si tratta, peraltro, solo di un progetto o di uno slogan. L’Europa dei popoli e delle regioni è il criterio con cui vogliamo valutare e giudicare quello che accade alle nostre porte. Basta chiedersi chi sono i nostri vicini. Basta passare le Alpi, affacciarsi su di esse, per percepire un’aria diversa, un modo di vivere e di lavorare che sentiamo più nostro di quello dei corridoi e dei palazzi della Roma del Potere. Lo so, si obietterà, che di questi nostri popoli è rimasto poco, ma poco è infinitamente più di nulla e, a volte, dove non arrivano gli ideali, arrivano gli interessi. La questione sociale, il dramma del lavoro che non c’è, l’oppressione fiscale, la decrescita disordinata non potranno avere risposte a livello di stato-nazione per il semplice fatto che il centralismo, di cui esso si nutre, non riesce più a conciliare i diversi interessi delle parti che lo compongono. E, a questo punto, prima ancora che di identità, è e sarà questione di sopravvivenza …

Stefania Piazzo

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