Categorie: Economia

Euro-lire, come ci hanno fottuti nel cambio

di Giuseppe Rinaldi – Nonostante siano trascorsi alcuni giorni dai fatti su molti quotidiano on line, tiene ancora banco la polemica intervenuta, nella trasmissione L’Aria che Tira, tra l’ex presidente del Consiglio prof. Prodi e il vice presidente del Senato sen. La Russa.

Argomento:il l passaggio dalla lira all’euro e i guai che patirono tante famiglie italiane, soprattutto quelle a stipendio fisso. In proposito va ricordato che se l’introduzione dell’euro in Italia ebbe per protagonista il prof. Prodi a gestire la nuova moneta, nel 2002, fu il governo Berlusconi II.

La disputa: da una parte l’esponente di Fratelli d’Italia sostiene che i problemi economici di cui sopra derivano da un pessimo cambio lira-euro, che ci ha penalizzato, dall’altra parte, l’ex presidente Prodi, difendendo il deprezzamento, volto a favorire l’esportazione, attribuisce alla cattiva gestione della transizione i guai di cui si è fatto cenno.

I fatti: la lira è stata convertita in euro al seguente cambio, un euro uguale 1936, 27 lire. Vale a dire, in via d’ipotesi, che se voglio un euro devo sborsare lire 1936,27. Allo scopo di agevolare le esportazioni, in vista dell’euro, l’Italia convinse la Germania di cambiare 950 lire per un marco tedesco, come affermato dallo stesso Prodi in trasmissione.

Il progetto in sè aveva del buono se, in tutta l’operazione, non si fosse inserita l’astuzia, tutta italiana, di fregare elegantemente la merenda del compagno di banco. Infatti, a manovra euro compiuta, si assisté a un fenomeno scandaloso. Lo ricordano bene le massaie, sia si fossero chiamate Pautasso di Torino o Pipitone di Palermo; vale a dire che, se tre aranciate costavano mille lire, da un giorno all’altro le stesse tre aranciate dovettero pagarsi un euro, vale a dire quasi duemila lire (il doppio circa). E ciò senza che, nello stesso periodo, i salari e gli stipendi subissero delle pari rivalutazioni. Cosicché prese forma una strisciante diminuzione del potere di acquisto dei medesimi, pari a quasi la metà del loro valore storico. Senza dubbio, giocò a favore degli astuti il fatto che le tre aranciate si pagavano usando una moneta, prima di mille lire e poi di un euro.

Questo, a parere del prof. Prodi, accadde per mancanza di controlli e ha ragione.

Il governo Berlusconi II, che gestì oculatamente la transizione in parola, negò sempre la fattibilità di tali controlli. Cosa non vera. Infatti, quanti ricordano le domeniche a piedi dei primi anni ’70, dovrebbero nel contempo rammentare i cartelli esposti in ogni negozio con la scritta: “Telefona al Governo”. Detti cartelli riportavano i prezzi di tutti i prodotti in vendita, vidimati dalle autorità prefettizie e fissati a una certa data. Guai se qualche furbetto li avesse disattesi. Era il periodo dei governi Andreotti I, II e Rumor.

“Brìsa par critichèr”, ma non ci voleva molto nel 2002, prendere esempio

da ciò che si era fatto trent’anni prima. Un bell’elenco di prezzi, in lire ed euro, vidimato dal prefetto o suo delegato, il comune, e via. Ci si sarebbe accorti che quelle tre belle bottiglie di aranciata di mille lire, con la nuova divisa le avresti avute per 52 centesimi di euro. Altro che un euro. Era tanto difficile?

Giuseppe Rinaldi

Nato in Piemonte cresciuto in Sicilia: Siracusa, Adrano, Giardini Naxos. Cavaliere della repubblica, pensionato, 46 anni di servizio presso l’Agenzia delle Entrate già Uffici Imposte Dirette. Ha scritto per Tribuna del Mezzogiorno; Gazzetta del Sud; Il secolo d’Italia; La Padania e qualche testata locale.

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