Categorie: Cultura

Caro “monsu” Petrini, il Partito di Togliatti non amava i contadini

di Roberto Gremmo – Continua la maledizione degli anniversari: dopo i liquidatori del PCI che elogiano il Partito che hanno fatto fuori, su “Repubblica” spunta ora il cuneese Carlo Petrini che ci propina un Partito Comunista nientemeno che contadino, mentre è ben chiaro che gli uomini dell’elefante rosso erano gli apologeti dell’egemonismo operaista, dell’industrialismo forsennato e dell’urbanesimo immigrazionista.

L’onorevole Riccardo Roberto è il personaggio tirato in ballo da Petrini come Contadinista a tutto tondo ma  è un’icona del tutto fuori posto. Era infatti un uomo politico attivo nel primo dopoguerra nel cuneese ma… per contrastare il vero movimento ruralista assai forte in quegli anni: il “Partito dei contadini d’Italia” che aveva per divisa le camicie verdi (contrapposte sia a quelle nere che alle rosse) e raccoglieva ampi consensi all’insegna della parola d’ordine “da noi”, facciamo da soli, noi gente dei campi, sempre imbrogliati da quelli di città.

Nel mio libro “La rivolta politica delle campagne” ho ampiamente documentato l’anticontadinismo di Roberto che sul quotidiano “Ordine nuovo” del 28 settembre 1922 insultava coi peggiori epiteti i fratelli Scotti e gli altri contadinisti, bollandoli alla stregua di “piccoli proprietari arricchitisi in occasione della guerra” ma invisi ai comunisti perché erano loro ad avere un vero seguito fra Langhe e Monferrato. Non il PCI, caro Petrini, peraltro all’epoca surclassato nel basso Piemonte anche dai socialisti.

Non a Roberto ma al Partito dei Contadini, dovevano ricollegarsi idealmente ma anche concretamente gli uomini delle campagne che negli anni sessanta manifestavano la rabbia del mondo ormai vinto delle cascine con le “pacifiche passeggiate” dei loro trattori ed anche in questo caso il PCI si distinse in un vano tentativo di strumentalizzazione, senza riuscire ad intaccare l’egemonia del Partito rurale suo concorrente, che era l’espressione più genuina della mentalità e delle idealità più profonde di gente che era giustamente diffidente verso i nipotini di Stalin.

Il contadinismo piemontese fu al contempo antifascista ed anticomunista ma divenne subito la bestia nera della doppiezza dei democristiani che chiedevano il voto alla gente dei campi per poi imporre la distruzione della civiltà rurale, favorendo l’ammassamento di gente senza radici nelle tentacolari metropoli del miracolo economico. Che il PCI appoggiò pienamente, con buona pace di “monsu'” Petrini.

Redazione

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