Categorie: Cultura

Biden: l’Afghanistan è un’espressione geografica

di Luigi Basso – Ieri pomeriggio (https://www.whitehouse.gov/briefing-room/speeches-remarks/2021/07/08/remarks-by-president-biden-on-the-drawdown-of-u-s-forces-in-afghanistan/) presso la East Room della Casa Bianca, Joe Biden ha dovuto affrontare una delle prove più dure per un Commander in Chief: annunciare alla stampa di aver perso una guerra durata 20 anni, costata quasi 2500 soldati americani morti, 20722 feriti, un trilione di dollari solo per equipaggiare le forze locali alleate.


Biden ha cercato di ridimensionare la sconfitta afghana sottolineando il raggiungimento degli obiettivi tattici dell’impegno USA in Afghanistan: la eliminazione di Bin Laden e di Al Qaeda.
Tuttavia sarebbe sufficiente notare che Bin Laden è stato ucciso dieci anni fa e che da anni Al Qaeda non è più un problema, ma ciononostante le truppe USA da allora sono rimaste in Afghanistan, per comprendere come il vero obiettivo militare americano fosse molto più ambizioso: creare una roccaforte militare e politica nel cuore dell’Asia in chiave anti russa, anti iraniana ed anti cinese.


Fare insomma dell’Afghanistan quello che i nemici degli USA sono riusciti a fare con Cuba, per esempio: creare una spina nel fianco dell’avversario.
In realtà gli USA hanno perso la guerra afghana, da tempo: ma Biden non poteva accollare il fallimento e la sconfitta alle precedenti amministrazioni, poiché, tranne i quattro anni di Trump, lui era in tutte le precedenti amministrazioni.
Al di là della sconfitta, desta alcuni interrogativi il modo in cui è stata effettuata la ritirata.
Dopo 20 anni di impegno militare e civile, gli USA hanno organizzato in fretta e furia una uscita delle truppe da Kabul e dintorni lasciando sul campo mezzi, furgoni, attrezzature; una fuga talmente veloce e repentina che ieri pomeriggio i giornalisti presenti nella East Room hanno fatto innervosire Biden paragonandola alla fuga americana da Saigon dopo la sconfitta vietnamita.


Biden ha cercato di minimizzare dicendo che la velocità del ritiro è stata decisa solo per garantire la sicurezza delle truppe.
In realtà, la risposta del Presidente non chiarisce nulla.
A questo punto la stampa lo ha incalzato sul destino del popolo afghano e delle migliaia di afghani che, dopo aver collaboratore per 20 anni come interpreti o aiutanti degli americani, ora si troveranno in totale balia dei Talebani.
Biden ha vacillato su queste domande e, infine, ha dovuto dire la verità: il popolo afghano dovrà decidere da solo il suo futuro, gli americani potranno comunque collaborare col futuro governo, i profughi afghani potranno ricevere ospitalità in America, sono state previsti 2500 visti speciali, per il resto occorrerebbe cambiare la Legge e deve deciderlo il Congresso, nel frattempo chi lo vorrà potrà farsi ospitare in Paesi Terzi e attendere la modifica della legge.
In sostanza, le parole di Biden agli afghani potrebbero essere così tradotte: dovete cavarvela da soli.


Nei suoi 25 minuti di conferenza stampa Biden poi toccato due punti politici fondamentali.
Il Presidente USA ha osservato, con ragione, che dopo 20 anni di impegno non era possibile attendersi risultati migliori e diversi dal proseguimento della campagna militare afghana: difficile dargli torto, la guerra era persa.
Il Presidente ha poi aggiunto che del resto nessuno nella storia è mai riuscito ad unificare per davvero gli afghani.
Anche su questo punto Biden ha ragione da vendere.


Parafrasando Metternich, verrebbe da aggiungere, il motivo del fallimento di tutti i tentativi di unificare l’Afghanistan in una unica realtà statuale è che l’Afghanistan è una espressione geografica, ovvero è una costruzione territoriale britannica, creata per esigenze geopolitiche britanniche, una espressione geografica, appunto.
L’Afghanistan politico in realtà non esiste.
La Storia alla fine presenta sempre il suo conto.


In secondo luogo Biden ha detto che il motivo del ritiro, oltre alla sostanziale impossibilità di ottenere altri vantaggi per gli USA superiore ai costi della permanenza a Kabul, era legato alla necessità di concentrare le energie USA sulla Cina.
Certamente questa frase, se la si legge alla luce della escalation che si sta vivendo a Taiwan e la si confronta con una cartina geografica (la Cina confina con l’Afghanistan), costituisce un campanello d’allarme molto serio e preoccupante.
Sembra quasi che gli USA abbiano fatto i bagagli poco prima che la casa prenda fuoco.

Photo by Sohaib Ghyasi 

Redazione

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