Categorie: Cronaca

Robusti: Da quando Morisi frequentava la Lega mantovana alla politica che rincorre solo i sondaggi. Dov’è finito l’ideale?

di Giovanni Robusti – Conosco Luca Morisi dagli anni 80. Ragazzino facile all’uso dei computer e annessi. Elemento non comune all’epoca dove ancora i cellulari si vedevano dalle lunghe antenne di poche autovetture di lusso. Frequentatore, come me, del provinciale di Mantova. Leghista, imberbe, della prima ora. Lo ricordo un ragazzino dalla faccia pulita, mite, anche se determinata. Le frequentazioni con Matteo Salvini sono iniziate all’epoca quando Salvini gestiva una Lega parallela come segretario regionale dei giovani. Sapeva fare squadra, Matteo.

Sono stupito e amareggiato dell’accaduto. Anche se, va detto, meglio una presa d’atto ora dove l’uomo Morisi pare recuperato a se stesso che, peggio. E questo lo auguro a lui e a chi lo vive, con sincerità.

Il caso Morisi tuttavia apre una veduta panoramica sull’altro capo del filo, Matteo Salvini. Non tanto l’uomo che non conosco come tale. Nemmeno il politico che conosco, come tutti, per quello che di lui si dice e lui dichiara. Quanto il leader. Il caso mediatico sta scoprendo le contraddizioni tenute sopite da una comunicazione geniale, da un momento del paese dove tra i tanti qualunquisti uno più bravo dei tanti faceva “cassa”.

La pandemia ha stravolto tutto. Arriva Mario Draghi. Non ha ancora avuto il tempo per dimostrare nulla anche se pare partito bene. Ma ha cambiato lo stile, il paradigma come direbbero i forbiti. La presenza di uno Stato che funzioni (nazionale, regionale o comunale che sia) prende valore nei bisogni della gente.

In questo contesto valgono i fatti e meno le parole giuste per fare effetto. E qui si scopre, proprio per effetto dell’efficacia del sistema Morisi, che dietro non c’è nulla o ben poco. Spostare l’asse della Lega da padano a italiano cosa avrebbe portato di concreto? Sondaggi, tanti. Voti alle europee anche. Dove poi i parlamentari del sud pare se ne vadano uno alla volta, tutti. Amministrazioni in tutta Italia delle quali si perde il controllo sul comportamento e sugli obbiettivi strategici. Perché, amministrare al Sud non è cambiato mettendo il simbolo della Lega sulla scheda elettorale. E non dico che sia peggio del nostro. Certamente è un sistema diverso. Noi ci siamo omologati non il contrario.

Emerge, ben visibile, quello che abbiamo perso. Abbiamo perso un ideale di autonomia che superasse lo Stato centrale nel contesto di una Europa dei popoli. Non sono parole. E’ un “idem sentire” che abbiamo vissuto sulla pelle e nel cuore per 30 anni. Dov’è finito?

Io credo che alle elezioni di domenica avremo delle sorprese. Non solo che la sinistra non è morta. Non solo nel certificare che i sondaggi sono farina avariata. Non trovo del tutto sballate le previsioni di Giorgetti. Sala vincerà a Milano al primo turno. La Milano di Salvini. E non è buon auspicio per le regionali. A Roma credo uscirà un pacchetto ben diverso dalle attese dove i big potrebbero essere tutti e due fagocitati dalla frammentazione del voto. Torino si ritroverà operaia.

E questo è un segno del cambiamento a cui la Lega può rispondere solo tornando ad essere la Lega degli uomini che la compongono e non solo del leader del momento. Perderà dei voti (quelli di sondaggio), perderà delle poltrone (che ancora non ha), ma riconquisterà il cuore dei territori da cui è nata, è stata allevata ed alimentata e di cui ha perso il sapore … per ora! Territori che vanno amministrati, giorno dopo giorno e non solo usati per aumentare i voti attesi dei sondaggi. La gente oggi chiede certezze, fatti non speranze. Si sta passando dal contro qualcosa, al con chi, al come, al quando.

Redazione

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