Categorie: Cronaca

ESCLUSIVO – Ecco cosa rivelano le autopsie sul Covid al Sacco e a Bergamo. Ma lo Stato le frenava

di Giuseppe Olivieri – “I nostri dati supportano l’ipotesi proposta negli studi clinici che COVID-19 è complicato da coagulopatia e trombosi”.

Fino ad oggi l’infodemia che si è scatenata subito dopo la diffusione del Sars Cov2 aveva provocato, e tuttora provoca, la diffusione di notizie troppo spesso contraddittorie.

“The Lancet” ha appena pubblicato uno studio che ufficialmente conferma le indiscrezioni che erano emerse dopo l’esecuzione delle prime autopsie eseguite su soggetti deceduti a causa della Covid 19.

I due centri di riferimento protagonisti della raccolta e dell’analisi dei dati sono l’ospedale Luigi Sacco di Milano (20 autopsie) e l’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo (18 autopsie). Qui sono stati analizzati istologicamente campioni di tessuto polmonare prelevati da pazienti deceduti tra il 29 febbraio e il 24 marzo 2020. E’ importante segnalare questo intervallo temporale, in quanto è antecedente la circolare n. 15280 del 2 maggio scorso emessa dal Ministero della Salute, in cui si esplicitava che “durante tutto il periodo della fase emergenziale non si dovrebbe provvedere all’esecuzione ad autopsie o riscontri diagnostici nei casi conclamati di Covid 19, sia se deceduti in corso di ricovero presso un reparto ospedaliero sia se deceduti presso il proprio domicilio.”

“I pazienti erano 33 uomini e cinque donne, con un’età media di 69 anni (range 32-86). Il tempo trascorso nell’unità di terapia intensiva o nel reparto medico intermedio (terapia subintensiva) variava da 1 giorno a 23 giorni (media 7 giorni). Per quanto riguarda le comorbilità passate, erano disponibili dati per 31 pazienti: nove (29%) avevano il diabete, 18 (58%) avevano ipertensione, quattro (13%) avevano tumori maligni, 11 (35%) avevano disturbi cardiovascolari e tre (10% ) presentava lievi disturbi polmonari ostruttivi cronici.”

Al momento del ricovero, tutti i pazienti presentavano caratteristiche cliniche e radiologiche di polmonite interstiziale.

Accanto al previsto danno alveolare diffuso, trombi piastrinici-fibrinici in piccoli vasi arteriosi (<1 mm di diametro) sono stati trovati in 33 (87%) casi. “Per questi motivi, l’uso di anticoagulanti è stato suggerito per essere potenzialmente benefico in pazienti con COVID-19 grave, anche a causa delle loro proprietà anti-infiammatorie”.

“Nonostante il basso numero di casi valutati, questi risultati potrebbero suggerire che il virus rimane nel tessuto polmonare per molti giorni, anche se in piccole quantità, e potrebbe innescare il meccanismo che porta al danno polmonare e lo fa progredire”.

Nonostante questo studio risulti ad oggi il ​​più vasto a livello europeo relativamente alle analisi autoptiche di tessuti polmonari in soggetti deceduti per COVID-19, esso risulta limitato dall’assenza di controlli.  La Sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), che è la manifestazione clinica rilevata nei casi più gravi, è comune ad altre infezioni polmonari: l’obiettivo futuro dichiarato dagli autori è una comparazione approfondita tra i rilievi emersi da Covid 19 e quelli evidenziabili in altre forme di polmonite nelle future analisi scientifiche.

https://www.thelancet.com/journals/laninf/article/PIIS1473-3099(20)30434-5/fulltext?fbclid=IwAR0Q2k4UHacP9WBe0DintAjfp7B6IPUunQM5n6cdlAWF6SY7oby9Acjiajg

Stefania Piazzo

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