di Riccardo Rocchesso – Il Veneto industriale, il Veneto forte, il Veneto ricco. Solo un bel ricordo ormai. E per fortuna che ad aiutare le imprese ci sono stati gli ammortizzatori sociali e nuove modalità di gestione del personale, dai congedi allo smart working.
Molti imprenditori si sono adattati ai nuovi tempi, hanno riconvertito parti di produzione, hanno provato nuove strategie. Ma non è bastato.
A guardare i numeri si fa presto a capire l’evoluzione da qui a fine anno. Come riporta infatti Lab/Adnkronos le misure più gettonate di aiuto per le imprese sono state la Cassa integrazione guadagni (Cig) e strumenti analoghi come il Fondo integrazione salariale (Fis), che ha riguardato il 60,1% delle imprese venete.
Molte imprese invece hanno fatto ricorso allo smaltimento delle ferie maturate dai propri dipendenti (46,4%), alla riduzione delle ore o dei turni di lavoro (29,3%), all’introduzione o estensione dello smart working (22%), al rinvio delle assunzioni previste (13,9%), alla rimodulazione dei giorni di lavoro e alla formazione aggiuntiva dei lavoratori (entrambe dichiarate dal 9,1% delle imprese).
Ma la più grande preoccupazione per gli imprenditori veneti è dovuta alla crisi di liquidità: circa un’impresa su due prevede una mancanza di liquidità nel corso del 2020 e più di una impresa su 3 prevede seri rischi operativi e di sostenibilità dell’attività (35,1% in Veneto, 38% in Italia).
Oltre il 30% delle imprese venete teme, inoltre, che si ridurrà la domanda nazionale e locale dei propri prodotti e servizi. Soltanto il 13,5% delle imprese venete dichiara di non aver avuto alcun particolare effetto sull’attività della propria impresa a causa dell’emergenza sanitaria.
Il fabbisogno di liquidità generato dalla crisi legata all’emergenza sanitaria ha spinto il 43,5% delle imprese venete a ricorrere a un nuovo debito bancario, anche tramite le misure di sostegno disposte in materia.
Il dato più significativo è ovviamente il crollo del fatturato.
Per quattro aziende su 10 sarà del -50%.