NDRINGHETE NDRA’. Il suono onomatopeico al servizio dell’arte

11 Ottobre 2020
Lettura 1 min

di Marcus Dardi – Ndringhete ndrà è una parola senza alcun significato, è solo un intercalare per dare una risposta che non è una risposta. E’ un po’ come dire: “ma perché?” “così!”, una risposta senza alcun senso ma che suona bene.

Pare che la musica provenga da un canto popolare del 1600 ma è solo nel 1895 che la canzone viene firmata con musica di De Gregorio e le parole del poeta Cinquegrana.

Racconta la storia dell’acquaiola di Posillipo, che non volendosi mai sposare, rifiutava ogni pretendente.

L’acquaiola era una giovane e avvenente ragazza che vendeva l’acqua purificata in un tempo in cui l’acqua era più fonte di infezioni che di benessere.

Gli acquedotti e i pozzi non avevano le sanificazioni di oggi ed ecco che ad alleviare le pene del duro lavoro all’aperto, vi erano graziose imprenditrici della ristorazione che vendevano l’acqua lungo le strade.

Il suono onomatopeico del titolo è uno dei tanti effetti teatrali usati nella Commedia dell’Arte, commedia che a partire dal 1400 si diffuse da Venezia in tutta Europa.

La compagnia più famosa fu quella dei “gelosi” della corte mantovana dei Gonzaga.

Il recitar onomatopeico significa emettere dei suoni senza alcun senso compiuto ma che comunque rendono l’idea di quel che si vuol dire. Per una parola si dice suono onomatopeico ma per una recitazione si usa il un termine dell’antico veneziano: “grammelot”.

Curiosità:

Dario Fo nel suo teatro “giullaresco” faceva un gran uso del gramelot.

Charlie Chaplin, nel film Tempi Moderni del 1936, cantò una canzone usando il gramelot, la canzone è passata alla storia, ed è “Je cherche apres Titine” (in italiano, io cerco la Titina).

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