Nord sott’acqua e catastrofi ambientali? Belicchi (Studio Majone): 50 anni fa la “Relazione De Marchi” diceva cosa fare per salvarci

5 Ottobre 2020
Lettura 8 min

Riceviamo e pubblichiamo lusingati l’ampio documento a firma dell’ingegnere Marco Belicchi dello Studio Majone, apparso su Il Giornale degli Ingegneri i tempi non sospetti nel marzo 2015. L’attualità dell’eccezionale documento che ripercorre lo studio delle criticità idrogeologiche spiega come non era mai accaduto prima, cosa è stato fatto, e cosa si doveva fare alla luce del lavoro della Commissione De Marchi che nel 1970 indicò come mettere in sicurezza il Paese.

Ad oggi poco o nulla è stato realizzato e questo ci fa capire come le catastrofi idrogeologiche non siano solo sfortuna o ineluttabili disgrazie. Quando sul serio il governo, i governi, gli amministratori, i politici prenderanno coscienza che è obbligo morale, civile, costituzionale garantire la sicurezza e la conservazione del patrimonio ambientale, urbano, umano dei territori? Un’ultima ma non secondaria annotazione. Lo Studio Majone. Fondato da Ugo Majone, professore di Costruzioni Idrauliche presso il Politecnico di Milano, Presidente dell’Associazione Idrotecnica Italiana per due mandati, è stato a fianco di Giuseppe Zamberletti nel disastro della Valtellina del 1987, tra i tecnici che videro nascere la Protezione civile. La concezione attuale di Protezione Civile in Italia nasce in quegli anni e viene raccontata egregiamente in alcuni passi del libro “La frana della Valpola – Cronaca di una emergenza idrogeologica in Valtellina” scritto nel 2009 da Lunardi, Majone e Presbitero. Il libro raccoglie numerose testimonianze di chi si trovò a gestire una delle più gravi emergenze idrogeologiche italiane di tutti i tempi. (cit. da https://www.studiomajone.it/giuseppe-zamberletti-un-ricordo-del-fondatore-della-protezione-civile/).

Il prof. Ugo Majone

La “Commissione Valtellina”, nominata da Zamberletti e confermata dal ministro Gaspari a lui succeduto, era presieduta da Ugo Majone e composta da Lunardi, Govi, Siccardi, Mortara, Verde, Fiore: essa aveva il compito di “studiare i fenomeni ai fini della formulazione di proposte per l’attuazione dei provvedimenti di urgenza”. (ste.pi.)

di Marco Belicchi* – A pochi mesi dall’evento alluvionale che ha messo in ginocchio il quartiere Montanara in sponda destra del T. Baganza a Parma, propongo ai lettori alcune considerazioni ricollegandomi agli altri (troppi!) eventi alluvionali che hanno caratterizzato l’autunno scorso a Genova, Carrara, Chiavari, Milano, ecc.. I luoghi di alluvioni e dissesti, spesso, sono sempre i medesimi da diversi decenni.

L’ing. Marco Belicchi dello Studio Majone


Questi eventi calamitosi riempiono giornali e televisioni dei soliti concetti: prevenzione, dissesto idrogeologico, consumo di suolo, cementificazione, protezione idraulica del territorio, mitigazione del rischio, cambiamento climatico, ecc. Per evitare che restino parole vuote, da vetrina televisiva di alcuni soggetti sempre pronti ad assumere ruoli apparentemente “taumaturgici” sulle tragedie appena accadute, ripercorriamo in sintesi la nascita e lo sviluppo in Italia della “difesa del suolo”, termine che ben rappresenta, con accezione quasi “militare”, il presidio e contrasto alle
molteplici e sconsiderate “aggressioni” cui il territorio è stato sottoposto senza limiti geografici, da nord a sud, soprattutto in determinati periodi di sviluppo economico.

Lo straordinario lavoro della “Commissione De Marchi”
A seguito della drammatica alluvione del Po nel Polesine nel novembre 1951 il Ministero dei LL.PP. con la L. 185/1952 aveva redatto un “piano orientativo per la sistematica regolazione dei corsi d’acqua naturali” per “assicurare ogni possibile difesa contro minacce e danni che possono essere provocati dagli eventi idrogeologici”.

Quindici anni dopo i severissimi eventi alluvionali del 4÷7 novembre 1966 nel centro – nord Italia posero “in assoluta evidenza la necessità e l’urgenza di affrontare il problema della difesa idraulica e del suolo contro gli eventi idrogeologici”. Con la L. 632/1967, oltre ad autorizzare la spesa di complessivi 200 miliardi di lire per opere idraulico-agrarie-forestali, veniva costituita la Commissione interministeriale per lo studio della difesa del suolo, ricordata poi come “Commissione De Marchi” in onore dell’illustre ingegnere idraulico che la presiedeva.

Il compito era di “esaminare i problemi tecnici, economici e legislativi ed amministrativi al fine di proseguire ed intensificare gli interventi necessari
per la generale sistemazione idraulica … di studiare una programmazione aggiornata delle opere da attuarsi per la generale sistemazione idraulica e del suolo”.

I 95 membri della Commissione, di diversa competenza tecnica ed amministrativa, conclusero la propria attività il 16 marzo 1970 approvando all’unanimità la Relazione conclusiva. Il lavoro, durato circa tre anni, fu sintetizzato in quattro volumi che restituivano un’analisi tanto essenziale
quanto acuta, lungimirante e pragmatica nel focalizzare le principali criticità idrauliche del Paese, delineando precisi indirizzi per gli interventi di mitigazione.

Interessante è la definizione di “difesa del suolo” che emerge dalla Relazione: “… si deve intendere ogni attività di conservazione dinamica del suolo, considerato nella sua continua evoluzione per cause di natura fisica ed antropica; ed ogni attività di preservazione e di salvaguardia di esso, della sua attitudine alla produzione e delle installazioni che vi insistono, da
cause straordinarie di aggressione dovute alle acque meteoriche, fluviali e marine o di altri fattori meteorici”.

Già 45 anni fa erano ben chiari i problemi “… sorti in relazione allo sviluppo del Paese e della sua economia, e in conseguenza della progressiva messa in valore dei molti territori precedentemente abbandonati, e dell’incessante e talora prepotente estendersi delle urbanizzazioni”. Molto significative sono le conclusioni cui giunge la Commissione, di cui riporto
testualmente alcuni passi principali:
– la difesa del territorio nazionale contro gli eventi idrogeologici risponde ad un pubblico vitale interesse e come tale non può che essere di
esclusiva spettanza dello Stato…;
– la difesa deve essere organizzata e condotta con uniformità di indirizzi ed unità d’attuazione per l’intero territorio, procedendo su basi unicamente idrografiche, … indipendentemente dalle circoscrizioni amministrative attuali e future;
– ai Magistrati alle acque … spetterà di promuovere e coordinare, in una visione d’insieme e nel quadro di una opportuna programmazione
concretantesi nei Piani di bacino che essi dovranno predisporre, tutte le attività inerenti alla difesa stessa ….;
– nel rapporto informativo sul lavoro svolto fino al 31 dicembre 1968 erano state indicate le opere intese alla difesa dalle inondazioni, in ispecie serbatoi di piena, alle quali era riconosciuto carattere di assoluta urgenza ai fini della difesa di importanti centri urbani e di territori soggetti a grave minaccia.

Colpisce la chiara consapevolezza di una attività avente necessariamente carattere “progressivo”, anche solo banalmente per ragioni economiche, ma anche “continua” nel tempo (un’opera senza fine). La “Relazione De Marchi” è fin troppo attuale per due motivi principali: buona parte dei provvedimenti indicati non sono stati attuati e, soprattutto, il livello di criticità sul territorio negli anni è andato aumentando in relazione all’aumento sconsiderato del carico antropico in aree caratterizzate da una elevata vulnerabilità idrogeologica.

Dagli anni ‘70 agli anni ‘90: tra un’alluvione e l’altra si attua la “pianificazione di bacino”

Eventi drammatici quali il crollo dei bacini di Prestavel a Stava (Tn) nel luglio 1985, nonché, due anni dopo, l’alluvione della Val Pola in Valtellina, fanno da prologo inconsapevole alla Legge 183/1989 “Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo” che sancisce la nascita delle Autorità di Bacino, istituzioni fondamentali per l’introduzione di un quadro pianificatorio specifico con una visione unitaria a scala di bacino idrografico quali i P.S.F.F. – Piani Stralcio delle Fasce Fluviali e, successivamente, i P.A.I. – Piani Stralcio per l’Assetto Idrogeologico.

Le accelerazioni più significative al percorso conoscitivo e pianificatorio si siano avute solo a suon di eventi calamitosi: dopo l’alluvione di Sarno nel maggio 1998 (160 vittime) venne promulgato il D.L. 180/98 ed il successivo D.Lgs. 267/99 grazie al quale vennero perimetrate in tempi brevi le aree esondabili in fregio ai principali corsi d’acqua;
inoltre, si diede impulso alla realizzazione di una rete organica di monitoraggio idropluviometrico e di radar meteorologici. E non dimentichiamo che nel giugno del 1996 già si erano patiti ben 13 morti nell’alluvione in Versilia (forse il primo episodio di “mediterranian storm”) dove, così come a Sarno, l’elemento acqua si associò in modo tragico alla fragilità geologica dei versanti.

Scenari identici replicati nell’estate 2003 nella valle del Fella ed in particolare nell’abitato di Ugovizza e, in anni più recenti, in Sicilia e Cinque terre.
A livello di bacino del Po, all’alluvione del 5-6 novembre ‘94 (70 morti in Piemonte) è seguito nell’ottobre 2000 un evento di piena di analoga ricorrenza statistica ma, fortunatamente, meno gravoso per la pubblica incolumità anche grazie alle opere nel frattempo realizzate dal Magistrato
per il Po che riuscì in pochi anni a concretizzare in progetti ed opere i finanziamenti ricevuti dal Ministero dei LL.PP. per attuare le opere
previste dal Piano stralcio – PS45 del maggio 1995, chiamato così perché nato in soli 45 giorni (si, non ci sono errori: 45 giorni!!!).

In tutte queste attività di pianificazione di settore sono state coinvolte diverse professionalità che hanno integrato le loro competenze in
modo intelligente e complementare: geologia, ingegneria,
scienze ambientali, geomorfologia, ecc..

Quale punto di situazione oggi?
Ad oltre 40 anni dalla “Relazione De Marchi”, 25 anni dalla L. 183/89 non possiamo non citare alcuni esempi emblematici di criticità macroscopiche ancora paurosamente aperte:
a Genova è finalmente in corso di appalto, un “primo lotto” di lavori per lo scolmatore del Bisagno e del rio Fereggiano;
a Firenze, se si dovesse ripetere un evento meteorico pari a quello del 1966 molto probabilmente si avrebbero gli stessi drammatici effetti, visto che l’unica opera significativa ad oggi completata è la diga di Bilancino sul Sieve;
anche Trento, allagata dall’Adige nel novembre 1966, attende invano la realizzazione della diga di Valda sul T. Avisio, malgrado ulteriori approfondimenti e proposte alternative concretizzate 10 anni fa dall’Autorità di Bacino del Fiume Adige;
Mantova, luogo natale del Prof. Ing. Claudio Datei, se da un lato può vantare la presenza del diversivo di Mincio, dall’altro attende sempre la realizzazione dei due canali di gronda a presidio delle portate di piena di un vastissimo comprensorio di pianura ad ovest della città;
il 13 ottobre scorso Parma si è salvata da un evento alluvionale ancora peggiore grazie alla presenza della cassa di espansione sul T. Parma
completata nel 2006, mentre si attende la costruzione di analoga opera sul T. Baganza, anch’essa già chiaramente indicata nel 1974 come “necessaria” nelle meritevoli analisi idrauliche della “Commissione De Marchi”.

E ricordiamo che Verona si salvò dalla furibonda piena dell’Adige del 4 novembre 1966 solo grazie al tempestivo utilizzo da parte del Magistrato alle acque della galleria idraulica Mori-Torbole che convogliò in Garda ben 64 milioni di metri cubi al ritmo di 490 mc/s.

Le opere realizzate, così come quelle rimaste, per ora, allo stato di progetto, esprimono intrinsecamente il valore dei colleghi ingegneri che vi
hanno lavorato: dall’ideazione, al calcolo idraulico, strutturale, alle modellazioni numeriche, ai modelli fisici, alle competenze tecniche profuse
in cantiere tramite gli uffici di Direzione dei lavori per garantire la conformità e la qualità delle opere costruite.
In fatto di elementi conoscitivi disponibili non siamo sicuramente secondi a nessuno: quasi sempre abbiamo a disposizione numerosi studi, modelli numerici e, perché no, anche fisici; e in qualche caso ci sono pure progetti
preliminari o definitivi apparentemente caduti nel dimenticatoio, pronti ad essere riesumati alla successiva emergenza.

Manca, ahimè, il passo successivo destinato a fare “goal”:
una capacità da parte degli Enti preposti (che non sono pochi, ulteriore elemento di complicazione!) di individuare priorità ben precise, tempi
certi e soluzioni tecniche molto pragmatiche che consentano di ottimizzare il rapporto costi-benefici, prevedendo se necessario una modularità di
interventi “per stralci” successivi. Il tutto nella consapevolezza che quasi sempre una risoluzione immediata ed ottimale delle criticità non è
possibile, per i ben noti problemi di natura economica.

Il progetto #italiasicura messo a punto alcuni mesi fa dal Governo Renzi e dal Ministero dell’Ambiente nasce con un compito dichiarato, preciso ed ambizioso: “L’istituzione della Struttura di missione contro il dissesto Idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche e la nomina di tutti Presidenti di Regione a Commissari di Governo per gli interventi di
mitigazione del rischio idrogeologico, ha permesso allo Stato di voltar pagina e di accelerare gli interventi necessari e urgenti per pianificare
l’opera pubblica nazionale di cui l’Italia ha bisogno, coordinando il gioco di squadra con tutti gli enti e le amministrazioni competenti a vario titolo e in tutti i territori, con una decisa azione di stimolo, supporto, monitoraggio, controllo”.

Ci auguriamo che questa iniziativa introduca realmente un modo di operare nuovo ed efficace che consenta di ottenere progressivamente risultati concreti. Per raggiungere questo obiettivo le competenze degli ingegneri civili idraulici come liberi professionisti, tecnici interni agli Enti pubblici, ricercatori in ambito scientifico ed universitario, costituiscono un
patrimonio importantissimo ed insostituibile per la risoluzione concreta delle problematiche della protezione idraulica del territorio.


*Ing. Marco Belicchi – Studio Maione Ingegneri Associati, Milano coordinatore della Commissione costruzioni idrauliche dell’Ordine degli ingegneri della Provincia di Parma

Immagine in apertura tratta dal sito dello Studio Majone https://www.studiomajone.it/la-frana-della-val-pola-in-valtellina-1987/

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Direttrice: Stefania Piazzo
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