Il Tar manda a quel paese la “vigile attesa” dei pazienti Covid a casa. Vince Szumski e i medici di territorio: cure subito

7 Marzo 2021
Lettura 2 min

di Giuseppe Olivieri – Dove fallisce la politica, fortunatamente prevale il buon senso e la professionalità.

Per fortuna c’è stato il ricorso del Comitato cura domiciliare Covid 19 con il medico e sindaco Riccardo Smuzki capofila della battaglia legale. Cure precoci, altro che pazienti chiusi in casa in… vigile attesa! Il Comitato ha vinto e il Tar ha bocciato la linea della medicina indifferente al dolore e al territorio.

La medicina, si sa, non è una scienza esatta. Si basa su elementi scientifici certi, come quelli legati alla chimica e la fisica, ma si applica ad una condizione biologica umana, spesso legata a fattori soggettivi e condizionati dalla sfera psichica. Per questo non esiste ad oggi un protocollo terapeutico efficace universalmente accettato contro la Covid 19. Inoltre, avendo quest’ultima un’eziologia virale, per contrastarla esistono ancora in questo momento solo presidi finalizzati a prevenirne le conseguenze più nefaste.

Per metterli in atto è necessaria una rete di assistenza sanitaria territoriale che in Italia pare essere stata soppiantata a vantaggio del processo di ospedalizzazione. Oltre alle scelte regionali e centrali degli anni passati che hanno depotenziato la sanità sotto il profilo strutturale e del personale, recenti provvedimenti del governo di Roma hanno condizionato la gestione della pandemia in corso.

“L’affidamento ai medici di medicina generale del compito di assistenza domiciliare ai malati Covid risulta in contrasto” con i decreti legge varati nello scorso marzo, nella ‘fase 1’ di emergenza sanitaria. Lo scriveva la terza sezione quater del Tar del Lazio, in una sentenza depositata nel novembre scorso, accogliendo il ricorso presentato dal Sindacato Medici Italiani contro alcuni provvedimenti della Regione Lazio.

Secondo i giudici amministrativi, “è determinante la previsione contenuta” nel decreto legge 14/2020, secondo cui “al fine di consentire al medico di medicina generale o al pediatra di libera scelta o al medico di continuità assistenziale di garantire l’attività assistenziale ordinaria, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano istituiscono, entro dieci giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, presso una sede di continuità assistenziale già esistente, una unità speciale ogni 50mila abitanti per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da Covid-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero”.

Tale previsione, aveva aggiunto ancora il Tar, “è stata replicata in modo identico” in un articolo del decreto ‘Cura Italia’, sempre ad opera del governo Conte 2.

In sostanza, la politica del governo centrale ha limitato l’azione domiciliare dei medici di Medicina generale. Quella regionale non è stata in grado di organizzare in modo appropriato proprio quelle Usca (unità speciali di continuità assistenziale) che avrebbero dovuto sostituirli in quel compito.

Così è emersa la professionalità di molti medici: lo spirito alla base della scelta di servire il prossimo non si è arreso alle incongruenze e alle scelte schizofreniche della politica. Molti medici si sono confrontati e si sono organizzati per garantire un’assistenza domiciliare ai malati di Covid, prescrivendo precocemente un supporto farmacologico, consentendo ai pazienti di non abbandonare l’ambiente quotidiano e familiare ed evitando un sovraffollamento delle strutture sanitarie.

Si sono organizzati così bene che sono riusciti a costituire un comitato e, fra le altre iniziative, a promuovere un’istanza cautelare accolta dal Tar del Lazio il 4 marzo scorso: viene sconfessata addirittura la linea dell’Aifa, che in una nota del 9 dicembre 2020 invitava ad una semplice “vigile attesa” nella proprie abitazioni e alla somministrazione di fans e paracetamolo o dell’eparina, ma solo per i pazienti allettati.

Il tribunale amministrativo ha giudicato fondato il ricorso del “Comitato Cura Domiciliare Covid-19” di far valere il proprio diritto-dovere di prescrivere i farmaci che si ritengono più opportuni secondo scienza e coscienza, e che non può essere “compresso nell’ottica di una attesa, potenzialmente pregiudizievole sia per il paziente che, sebbene sotto profili diversi, per i medici stessi”.

“E’ una vittoria sola nostra, solo mia, dei medici e dei cittadini che hanno creduto in noi. Ora cambiate i protocolli di cura domiciliare precoce”. Queste le parole del presidente del comitato, avv. Erich Grimaldi, consapevole che la tenacia e la professionalità possono arrivare dove la politica si ferma ad aspettare.

Un merito particolare al medico Szumski che è stato capofila del ricorso. Ha sempre creduto nella medicina di vicinanza, di territorio e della necessità di cure precoci. Se aspettavamo il ministero e le sue linee guida distanti anni luce dal coraggio e dalla vita reale….

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