Centralismo e sovranismo. La banda dell’Ortica…

21 Aprile 2020
Lettura 3 min

di Roberto Pisani – Il 22 ottobre 2017 la Lombardia e il Veneto chiamarono i loro elettori ad esprimersi con referendum sul tema dell’autonomia. Ad esse si aggiunse, intraprendendo un’altra via, ossia quella istituzionale, l’Emilia Romagna. Ma cosa si intende veramente per autonomia territoriale? Cerchiamo di approfondire l’argomento. Con una premessa. Se i protagonisti della scena politica sono i partiti che spingono per l’autonomia e per il recupero del residuo fiscale, il risultato finale può cambiare ma se il dialogo è tra partiti nazionalisti centralisti e sovranisti, secondo voi cosa ne esce? Il nulla. Si fanno il palo a vicenda come la mitica banda dell’Ortica. Ma andiamo per ordine.

La richiesta delle regioni è sintetizzabile nel trasferimento di alcune competenze, e relative coperture, dallo stato centrale all’ente regionale. Il braccio di ferro, che poi è il vero nocciolo della questione, è costituito dal residuo fiscale.

Se si vanno a verificare i dati si evince che parecchie regioni, quasi tutte dislocate al sud, non vantano un residuo fiscale, ma anzi ricevono fondi dallo stato per far fronte alle loro competenze. L’esatto contrario succede nelle regioni che hanno avanzato la richiesta di maggiore autonomia.

Inoltre vi è anche il pozzo senza fondo dello stato centrale e una parte del gettito fiscale deve, gioco forza, essere trattenuto a Roma per coprire i costi del carrozzone statale e per coprire l’enorme buco del debito pubblico nazionale.

E in qui niente di nuovo sotto il sole direte. Vero, sono cose conosciute e straconosciute.

Ma cosa potrebbe o dovrebbe succedere nel caso le regioni ottenessero la tanto agognata autonomia?

Beh, ovviamente dipende da che tipo di autonomia si parla, dalle competenze e dalle risorse per coprirle.

Ad onor del vero il quesito referendario proposto non era chiarissimo e non specificava esattamente cosa i cittadini andavano a chiedere. I proponenti motivarono questa decisione adducendo il rischio di bocciatura da parte della Corte Costituzionale. Sinceramente non sono in grado di giudicare questa affermazione, non essendo un costituzionalista, però mi sento di affermare che avrebbe sicuramente aiutato i rappresentanti regionali nella trattativa con lo stato.

E proprio sulla trattativa vorrei fare la prima considerazione.

Secondo il mio concetto di autonomia è anomalo che le regioni debbano andare col cappello in mano a chiedere allo stato centrale maggiori competenze, che per logica dovrebbero essere di chi gestite direttamente dai territori. E ancora meno logico è chiedere per favore di trattenere parte del gettito fiscale che viene prodotto proprio da quei territori. Dovrebbe essere l’esatto contrario. Dovrebbe essere lo stato centrale che chiede, e non impone, che gli vengano dati i fondi per coprire le proprie competenze che gioco forza deve gestire, come ad esempio la difesa. Questa secondo me dovrebbe essere la logica.

Come avrete notato ho in continuazione citato i territori.

Secondo la mia visione di autonomia questi dovrebbero essere il vero fulcro della questione. L’ente regione, secondo me, è spesso troppo distante da territori che la compongo, sia politicamente sia geograficamente, specie in una regione come la Lombardia con la sua estensione e con oltre 10mln di abitanti.

A mio avviso per applicare una vera autonomia si deve delocalizzare la gestione politica ed amministrativa, e per far ciò si deve gioco forza rivedere il ruolo degli enti locali, in primis quello dei Comuni e delle Provincie. L’amministrazione comunale deve tornare ad essere il vero perno politico ed amministrativo.

Troppe volte il Consiglio Comunale è chiamato ad approvare decisioni prese dall’alto, dallo stato ma anche dalle regioni stesse. L’unico ente che veramente conosce il territorio e le sue esigenze è proprio il Comune e per questo deve tornare ad avere un ruolo centrale.

E passiamo alla Provincia.

Nel recente passato si è provato ad abolirla con una riforma, voluta dall’allora ministro per gli affari regionali e le autonomie Graziano Delrio, riforma che giudicare scellerata è poco, che le ha svuotate di risorse lasciando però loro le competenze, delegittimandone il ruolo. Fa specie che un decreto legge del genere, emesso in attesa di essere completato e legittimato dal referendum costituzionale voluto da Matteo Renzi bocciato dagli elettori e per questo rimasto monco, sia stato presentato proprio da chi ha fatto per nove anni il Sindaco di Reggio Emilia e contemporaneamente per due il Presidente dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI), e che quindi conosceva a perfezione la situazione degli enti locali.

Le provincie dicevamo.

Le provincie costituiscono l’ente più vicino ai Comuni. Dovrebbero, a mio avviso, avere l’obbligo di nominare degli rappresentanti localizzati sui territori, per semplificare degli assessori delegati alle varie zone delle provincie stesse, laddove il territorio lo richieda, e recepire in questo modo le esigenze e le indicazioni dei Sindaci e dei Consigli Comunali, farle loro e riportarle all’ente regionale, con l’obbligo di portarne avanti le istanze.

Questo ovviamente comporta l’abolizione della riforma, almeno in parte, e la ristrutturazione dell’ente stesso ridisegnandone le competenze e dando ad esso le relative coperture.

Insomma, per concludere, per avere una vera autonomia bisogna invertire la marcia e rivedere la gerarchia dei vari enti amministrativi, se no passare da un centralismo romano ad un centralismo milanese è un attimo.

Arlecchino servo di due padroni ce lo insegna.

Photo by Nicola Nuttall

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