di Stefania Piazzo – Va detto. Green pass e tamponi di lotta e di governo sono il segno di un duromollismo di Palazzo Chigi. La carta verde è stata usata come strumento di persuasione. Se non ce l’hai non entri, non accedi, non ti sposti. Ma anche se ce l’hai la puoi dare a qualcun altro che tanto la carta d’identità non te la chiede nessuno. L’ha specificato il ministro Lamorgese ieri. Gli esercenti non sono pubblici ufficiali pertanto non sono tenuti a verificare se sei Minnie o Topolino. Né i commercianti, i cuochi, gli esercenti, i parrucchieri, hanno obbligo di vaccinazione pur essendo a contatto con il pubblico di più più e spesso rispetto agli insegnanti. O no? Ma silenzio.
Ieri il governatore Luca Zaia, che tanto non ha problemi di consenso né di visibilità nella maggioranza Draghi, ha detto che in Veneto l’era dei tamponi gratis è finita.
Meno pilu per tutti. I costi si allineano con quelli di tutto il Paese. Ovvero 8 euro per gli under 17, 15 per gli adulti. Fino ai 22 euro per i turisti.
Zaia lo dice chiaro e tondo, a differenza di Salvini: se la situazione non è precipitata è grazie al piano di vaccinazione massiccia che ha creato un cordone di sicurezza a contagi e varianti.
“Con i vecchi parametri il Veneto sarebbe in zona arancione – ricorda – ma il tasso di ospedalizzazione è solo del 2 per cento. E questo grazie ai cittadini che si sono vaccinati”. Vi sembra un messaggio o un linguaggio da leghismo barricadero salviniano? Ma neanche un po’. La pesca a strascico nel mare dei no green pass e no vax non ha reddito di cittadinanza nella strategia del governatore.