Reazione al Covid 19? Due Italie diverse. E contro Davide Vecchi si scatena il web

20 Marzo 2020
Lettura 2 min

di Stefania Piazzo – Davide Vecchi è un giornalista, direttore di una prestigiosa testata, Il Corriere dell’Umbria. Ha fatto inchieste e servizi di rilievo per il Fatto Quotidiano, seguendo anche le vicende e le traversie della Lega. Il Nord, lo conosce. E conosce pure i vizi dei politici del Nord. L’altro giorno, come tutti noi, o tanti di noi, ha sentito di dover commentare quell’immagine del corteo militare funebre a Bergamo. Uno scatto che si può paragonare allo studente in piazza Tienanmen davanti ai carri armati.

Ecco il suo pensiero. Lo riportiamo perché offre uno spunto fuori dal coro, come lo siamo noi, con il nostro piccolo strumento mediatico.

A Bergamo il cimitero è pieno. L’esercito ha portato le salme altrove, Modena e chissà. Non si possono piangere i morti. Eppure i bergamaschi non fiatano. Non una lamentela. Non una richiesta d’aiuto. Tutti a testa bassa, per rialzarsi. L’Italia dovrebbe imparare. Da Bergamo riceviamo una lezione impagabile di come si sta al mondo. Di cosa è la serietà, l’essere un popolo responsabile, avere le palle ed essere uomini, adulti.
Poi leggi che al Caldarelli di Napoli oltre 200 medici hanno falsificato i certificati per stare a casa e ti ricordi perché l’Italia è da sempre a due velocità. Ma va bene così, i vigliacchi, quelli che scappano, i mezziuomini, quaquaraqua ci sono da sempre. State a casa, nascondetevi, vergognatevi.

Poi, per carità, al Cardarelli (come in tutto il Sud) ci sono altre centinaia di sanitari che meritano assoluto rispetto e lavorano anche al posto dei parassiti, ma certo due mondi diversi.

I commenti si possono immaginare. Sono decenni che la questione settentrionale rimbalza con l’ombra del pregiudizio, dell’egoismo. Eppure non sono mai mancati i rilievi autorevoli, e qui mi piace citare Panebianco quando sul Corriere della Sera parlava di un Nord sparito dal vocabolario, quasi un termine imbarazzante in bocca ai politici di oggi, pronti solo a capitalizzare la rabbia e incanalarla nel ciclone del sovranismo, della ricetta facile. E di un Nord privo di una leadership.

Davide Vecchi ha centrato una questione che diventa oggetto di scherno, di pregiudizio al contrario. Come se per colpa di una classe politica che ha tradito la rappresentanza del Nord, allora tutte le istanze di questi territori fossero diventati una barzelletta. Il federalismo, l’autonomia responsabile di spesa diventano degli arnesi che hanno dato fiato a trombe e tromboni.

Invece sono attuali. Attuale e bruciante è questo paese ancora duale. Con una domanda e una offerta che non si incontrano perché l’intermediario è lo stato centrale. Che fa danni al Nord come al Sud.

In questa infernale corsa contro il tempo per combattere il nemico virale, stiamo assistendo all’invocare misure sempre più drastiche, sempre più stringenti, purché “ci pensi lo Stato”. Dove non arriva il nostro senso civico, ci deve essere una entità superiore a regolare il semaforo, il traffico. Ad assicurarci che tutto andrà bene.

Non è così. Forse però il Nord non lo ha ancora capito. E se anzichè cantare e basta dai balconi, avesse anche interrogato i propri politici sulla fine del referendum per l’autonomia, o almeno per avere le briciole del proprio residuo fiscale, non sarebbe stato poi così male. Le Italie sono due, è vero, ma l’autonomia di pensiero mi sa che il Nord se l’è giocata già prima del contagio. Anziché “girare” metaforicamente i fucili contro chi ha tradito aspettative, speranze, il bisogno di un cambiamento, ha invocato a salve in un rito collettivo l’arrivo dello Stato, più Stato di prima.

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